Il 12 maggio 2019, verso le otto di sera, quando su Roma scendevano le prime ombre della sera, un cardinale si calava in un tombino di via Santa Croce in Gerusalemme, rompeva i sigilli posti dall’azienda che fornisce l’energia elettrica e riattaccava la corrente a un palazzo occupato dal 2013 da 150 famiglie, più di 400 persone.

Il cardinale polacco, con un passato da elettricista, è Konrad Krajewski, 55 anni, una delle prime novità portate in curia da papa Francesco: nell’agosto del 2013, sei mesi dopo la sua elezione, lo ha infatti nominato “elemosiniere di sua santità”. In cosa consiste il suo incarico?

L’elemosineria apostolica è l’ufficio della Santa Sede che ha il compito di esercitare la carità in nome del papa. Un uso che risale ai primi secoli della chiesa, tanto che la carica viene citata già in una bolla di Innocenzo III (1198-1216). Nel diciannovesimo secolo è stato Leone XIII a stabilire che, oltre alle donazioni che arrivavano al papa da tutto il mondo, l’elemosineria poteva raccogliere fondi dando la possibilità ai fedeli di comprare delle attestazioni di benedizione apostolica in occasione di battesimo, prima comunione, cresima, matrimonio, ordinazione sacerdotale religiosa o diaconale, anniversari o compleanni “tondi”.

Tutte le entrate che arrivano alla elemosineria apostolica tramite questo canale “sono interamente devolute per la carità che questo ufficio esercita direttamente verso i bisognosi che ogni giorno nelle loro necessità tendono la mano al successore di Pietro”. Tra le novità istituite da Krajewski c’è quella di poter richiedere l’attestato online, e non più solo per posta o fax. Anche perché padre Konrad, o Corrado, in ufficio non c’è mai.

Una chiesa in uscita
Quando lo ha nominato elemosiniere, Bergoglio gli ha consigliato di vendere la scrivania, perché doveva stare per strada, e di lasciare la cassa sempre vuota. Così nasce l’incessante attività dell’elemosiniere che, per la prima volta nella storia, nel 2018 viene nominato cardinale. D’inverno distribuisce coperte e panini ai senza dimora, che d’estate porta al mare; apre un dormitorio e un salone per il taglio di barba e capelli per i poveri a San Pietro; visita gli istituti per anziani; cede la sua casa a una famiglia di profughi siriani. Poche ore prima di calarsi nel tombino romano, il cardinale era tornato da una visita a Lesbo, dove aveva portato gli aiuti del papa alle migliaia di profughi dimenticati nei campi e aveva avviato, a nome del Vaticano, una campagna per aprire dei corridoi umanitari che trasferiscano i rifugiati in altri paesi europei.

È una strana sintonia quella tra un prete polacco, che è stato cerimoniere di Giovanni Paolo II e come lui è cresciuto nella Polonia comunista, e il primo papa gesuita e latinoamericano, attento ai movimenti popolari per i quali ha sempre rivendicato “terra, casa e lavoro”.

Secondo alcuni commenti – sia di chi vede in Bergoglio un pericoloso eretico sia di chi lo guarda con un misto di interesse e rimpianto – quello di Santa Croce in Gerusalemme è stato un gesto compiuto nel nome di un papa “comunista”, di cui Krajewski è la longa manus.

La casa comune
In effetti l’elemosiniere ha seguito alla lettera la dottrina bergogliana. Infatti proprio al problema della casa è dedicata una parte dell’enciclica Laudato si’: “Non soltanto i poveri, ma una gran parte della società incontra serie difficoltà ad avere una casa propria. La proprietà della casa ha molta importanza per la dignità delle persone e per lo sviluppo delle famiglie. Si tratta di una questione centrale dell’ecologia umana. Se in un determinato luogo si sono già sviluppati agglomerati caotici di case precarie, si tratta anzitutto di urbanizzare tali quartieri, non di sradicarne ed espellerne gli abitanti. Quando i poveri vivono in sobborghi inquinati o in agglomerati pericolosi, nel caso si debba procedere al loro trasferimento e per non aggiungere sofferenza a sofferenza, è necessario fornire un’adeguata e previa informazione, offrire alternative di alloggi dignitosi e coinvolgere direttamente gli interessati”.

E nell’esortazione Gaudete et exsultate Bergoglio scrive: “Quando incontro una persona che dorme alle intemperie, in una notte fredda, posso sentire che questo fagotto è un imprevisto che mi intralcia, un delinquente ozioso, un ostacolo sul mio cammino, un pungiglione molesto per la mia coscienza, un problema che devono risolvere i politici, e forse anche un’immondizia che sporca lo spazio pubblico. Oppure posso reagire a partire dalla fede e dalla carità e riconoscere in lui un essere umano con la mia stessa dignità. Questo è essere cristiani!”.

Nella sua prima esortazione apostolica, l’Evangelii gaudium, si trovavano capitoli intitolati No a un’economia dell’esclusione, No alla nuova idolatria del denaro, No a un denaro che governa invece di servire. Bergoglio non è contro il mercato in sé. Lo critica quando non riduce le diseguaglianze o, peggio, le aumenta.

“Non è un rivoluzionario, né ha fatto parte delle correnti più progressiste della chiesa, e tuttavia il suo magistero s’inserisce in quella rinnovata attenzione alla dottrina sociale scaturita dagli anni del concilio Vaticano II e dalle esperienze della chiesa latinoamericana”, scriveva Francesco Peloso all’inizio del pontificato di Francesco. Ma se non è un rivoluzionario nel senso curiale del termine, ossia non ha fatto le grandi riforme che alcuni si aspettavano, lo è in senso copernicano: ha messo i periferici al centro, con buona pace di chi preferirebbe una gestione degli affari correnti e le porte delle sagrestie ben chiuse.

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