Alle nove di sera del 2 novembre Addolorata Peluso, settant’anni, pensionata di Campi Bisenzio, ha visto l’acqua entrare nella cucina della sua casa al primo piano, l’ha sentita sotto ai piedi. Aveva appena finito di cenare, il marito era salito al primo piano per andarsi a riposare, perché da qualche giorno aveva subìto un’operazione all’anca.

Peluso ha fatto in tempo ad alzare lo sguardo per vedere il fango scuro spingere sulla finestra e dell’acqua entrare dagli infissi. Poi è andata via la luce. Ha urlato, ha preso il nipote in braccio ed è corsa al piano terra insieme alla figlia. “Le ho detto: ‘Corri, è il fiume’, e siamo scappate di sopra. Abbiamo fatto luce con i telefoni, c’era acqua dappertutto”, racconta, ancora sotto shock. L’acqua è entrata nella cucina e non ha risparmiato niente: un flusso violento che ha ribaltato i mobili, bloccando anche la porta d’ingresso.

Affacciata alla finestra del primo piano della sua casa in via Santa Maria, a Campi Bisenzio, Peluso ha provato per ore a chiamare i soccorsi, temendo che l’acqua salisse anche al primo piano. “L’acqua è arrivata alla seconda rampa delle scale, abbiamo aperto un abbaino sul tetto e con mio marito e mia figlia ci siamo detti che se fosse salita ancora, avremmo provato ad arrampicarci. Ma per fortuna non è servito. Mio marito non era nelle condizioni di farlo”, racconta la donna, che dal 3 novembre ha trovato rifugio insieme a circa trenta persone nella sala polifunzionale del centro congressi Spazio reale di San Donnino.

“Ho chiamato il 112, ho chiamato il 118. Mi hanno detto che mi avrebbero richiamato, perché la situazione riguardava tutta la regione, ma sto ancora aspettando. Le batterie dei telefoni erano scariche, eravamo spaventati, infreddoliti e al buio. Mio nipote aveva la febbre e mio marito si muove con le stampelle”, denuncia Peluso. Fino alle due di notte non è arrivato nessuno, se non due volontari della Misericordia (l’associazione locale di assistenza sanitaria gestita da volontari), che sono passati a dare un’occhiata.

“La porta di casa era bloccata dai mobili, quindi non potevamo nemmeno uscire”. La mattina successiva una cugina, che vive in provincia di Pisa, è riuscita a mettersi in contatto con il 118, che ha mandato un’ambulanza. Il mezzo è arrivato sul posto e ha aiutato la famiglia a uscire dall’abitazione devastata dal fiume Bisenzio esondato. “Sono stati i volontari ad aprire la porta, sfondandola con dei pali, per farci uscire”, racconta la donna, che ancora si chiede come mai i soccorsi abbiano ritardato così tanto e non sia stata diramata un’allerta più chiara del pericolo che la popolazione stava correndo.

San Piero a Ponti, frazione di Campi Bisenzio, 5 novembre 2023. (Michele Lapini)

La sera prima il marito aveva ricevuto diversi messaggi su WhatsApp da parte dell’amministrazione comunale di Campi Bisenzio. Da qualche giorno era stata diramata un’allerta. Il pomeriggio del 2 novembre le autorità avevano scritto di stare in casa, di non mettersi in viaggio per via del maltempo. Ma alle 21 è arrivato un altro messaggio che avvertiva che il fiume Bisenzio aveva rotto gli argini ed era esondato: “Massima attenzione, il fiume Bisenzio è uscito dagli argini! Si raccomandano i cittadini di stare ai piani alti”.

Giuseppe Conti, il marito di Addolorata Peluso, non ha neanche visto quella comunicazione. Sarebbe stato comunque troppo tardi per loro, poco dopo l’acqua è entrata al pianterreno e l’ha distrutta. “Non immaginavamo una situazione del genere, il fiume non era alto nel pomeriggio. Pioveva molto, ma non pensavamo che sarebbe successo questo disastro”, spiega Conti, che tuttavia si considera fortunato, perché se non si fosse trovato già al primo piano forse non sarebbe riuscito a salire le scale al buio per via dei suoi problemi all’anca.

“Ho perso tutto”, dice Peluso piangendo, mentre è con la famiglia nel centro di San Donnino, attrezzato con brandine da campo. La trentina di sfollati nella struttura hanno perso la casa e non hanno trovato nessuna ospitalità da parenti o amici. Le vittime dell’alluvione che ha colpito la Toscana dal 2 al 4 novembre sono state nove, le persone evacuate dalle loro abitazioni 1.200 e il totale stimato dei danni è di cinquecento milioni di euro, secondo quanto dichiarato dal presidente della regione Toscana Eugenio Giani in una conferenza stampa il 5 novembre.

Anche Ornella Ndroqi, quarant’anni, una donna di origine albanese che vive in Italia da quindici anni, è stata per ore ad aspettare i soccorsi in cima a una scala, dopo che la casa che le era stata assegnata dai servizi sociali, vicino al ponte di Capalle, a Campi Bisenzio, è stata inondata dal fiume. “Sono stata dalle nove di sera alle tre di mattina al buio, da sola, in cime alle scale ad aspettare i soccorsi”, racconta. Ndroqi ha una malattia renale e deve fare la dialisi tre volte a settimana. “Sono malata, ero terrorizzata, mai e poi mai avrei pensato di trovarmi in questa situazione”, racconta. Dopo ore, è stata soccorsa dai vigili del fuoco e poi portata all’ospedale.

Salvatore Vassalone, 84 anni, invalido, sottoposto a dialisi e in sedia a rotelle, è rimasto bloccato al secondo piano di casa sua in via Botticelli, sempre a Campi Bisenzio. “Ho aspettato ore che arrivassero i soccorsi”, racconta l’ex fornaio, originario della Sicilia, rientrato tre anni fa dalla Germania a Campi Bisenzio per stare vicino alla figlia. “Ho avuto una grande paura. I pompieri sono venuti alle tre di notte, mi hanno portato fuori di casa sulle loro spalle. Il giorno dopo sono dovuto andare comunque a fare la dialisi all’ospedale”, racconta. Confessa che in quella casa ora ha paura di tornare, anche se fosse agibile.

Senza coordinamento

“Siamo ancora al lavoro con le idrovore su tutto il territorio”, spiega Lorenzo Ballerini, assessore ai servizi sociali di Campi Bisenzio. “Abbiamo delle zone senza elettricità, ma non ci sono più persone isolate”, continua. Ora il grande problema è il recupero e lo smaltimento dei rifiuti, dei mobili danneggiati e la fuoriuscita dall’emergenza per le famiglie più fragili che hanno perso la casa nell’alluvione.

“La sistemazione degli sfollati a Spazio reale è temporanea”, assicura Ballerini, che ipotizza di usare gli immobili di proprietà del comune per accogliere le persone che sono rimaste senza casa e non hanno trovato una soluzione autonoma. “È impossibile per ora fare una stima dei danni”, conferma.

“Ha cominciato a piovere giovedì (il 2 novembre), ma la situazione è degenerata rapidamente. A un certo punto il Bisenzio è esondato, poi c’è stata la rottura del fiume Marina, che è un’affluente del Bisenzio. Quindi tutta la fascia sud è stata inondata. Ci sono state zone coperte da tre metri d’acqua per due giorni”, spiega Giorgia Salvatori, abitante di Campi Bisenzio, ex assessora del Partito democratico e attivista del circolo Arci “Dino Manetti” di San Piero a Ponti, diventato uno dei centri di smistamento per gli aiuti. “Il circolo è stato messo a disposizione per preparare i pasti per i volontari, e abbiamo fornito una trentina di posti letto”, racconta Salvatori. “Il problema è che sembra tutto organizzato in modo autonomo, non c’è coordinamento. Le comunicazioni con le autorità sono difficili”, denuncia Salvatori. “Sembra che il comune e la protezione civile non parlino tra loro”.

Salvatori dice che sono stati parenti, amici e volontari a portare beni di prima necessità alle persone alluvionate. Eppure il territorio di Campi Bisenzio ha un altissimo rischio idrogeologico, in passato era in parte costituito da terreni paludosi e sorge intorno al fiume Bisenzio e ai suoi affluenti: “C’è stata una grossa alluvione già nel 1966, all’epoca di quella di Firenze, poi nel 1991”, spiega Salvatori, che con un gruppo di volontari sta portando aiuto nella zona di San Cresci, ancora allagata.

“È caduta in sei ore la pioggia che di solito cade in due mesi, quindi c’è il tema del cambiamento climatico. Probabilmente i bacini d’espansione del fiume che erano state previsti non bastano più. Il vecchio piano regolatore è del 2004, le case costruite al ridosso dell’argine sollevano molti dubbi sull’urbanizzazione e lo sviluppo edilizio”, conclude.

La fabbrica e i volontari

Il 5 novembre gruppi di volontari – giovani e giovanissimi – si aggiravano per Campi Bisenzio con pale e scope, senza paura di immergersi nelle pozze che ancora bloccavano le strade, allagavano i cortili e i giardini, fin dentro i garage e le cantine.

“Siamo arrivati stamattina per dare una mano, abbiamo portato del materiale, ci siamo fermati qui perché abbiamo visto che questa famiglia aveva bisogno, li stiamo aiutando a portare fuori i mobili che sono rovinati e a ripulire il primo piano dal fango”, ha raccontato Chiara Oria, una giovane volontaria originaria di Napoli e residente a Barberino del Mugello, che ha risposto all’appello del collettivo di fabbrica della Gkn di Campi Bisenzio. “Volevamo dare una mano e abbiamo risposto alla loro richiesta”, ha spiegato Oria, mentre continuava a togliere acqua e fango da un cortile.

Dario Salvetti, operaio della Gkn e rappresentante sindacale, conferma che la scorsa domenica (il 5 novembre) circa 1.500 persone sono passate dalla fabbrica per portare aiuti agli alluvionati. Lo stabilimento è diventato un centro di coordinamento logistico e di smistamento degli aiuti, e di coordinamento dei volontari.

“Prima dell’alluvione avevamo in programma un’assemblea di fabbrica per discutere dei prossimi passi perché, nonostante più di due anni di mobilitazioni, dal 1 gennaio dovrebbe arrivare la comunicazione di 185 licenziamenti, che porterebbero alla chiusura definitiva della fabbrica. Poi tra il 2 e il 3 novembre è caduta tutta quella pioggia, e allora abbiamo cominciato ad aiutare le persone alluvionate e la nostra comunità. Abbiamo messo la fabbrica a disposizione del territorio”, racconta Salvetti.

Il caso ha voluto che lo stabilimento non subisse danni, mentre un centro commerciale di fronte lo è stato pesantemente. Da due anni il collettivo di fabbrica chiede una riconversione ecologica degli impianti della multinazionale, che un tempo produceva componenti meccaniche per l’industria automobilistica.

I famosi ‘angeli del fango’ indicano che qui c’è un vuoto

“Insistiamo su questa direzione proprio perché ci sembra fondamentale affrontare la questione climatica, che è già davanti ai nostri occhi. Qualche mese fa infatti avevamo anche offerto il nostro sostegno agli alluvionati dell’Emilia-Romagna, ora grazie a quell’esperienza e alla rete politica e sociale che si è creata intorno alla vertenza della Gkn siamo potuti diventare un punto di riferimento per la nostra comunità nel momento del bisogno”.

Salvetti racconta che i prossimi mesi per la Gkn saranno cruciali e che questa alluvione mette in luce una serie di vulnerabilità economiche e sociali del territorio: “Il governo non vuole convocare un tavolo sulla Gkn per salvare i posti di lavoro. Quando nello stabilimento non ci saranno più persone, è facile immaginare un nuovo piano di speculazione immobiliare su quella struttura”, afferma.

E poi sottolinea: “Nella società che abbiamo in mente, prevenire la catastrofe dovrebbe essere interamente compito dello stato, dei professionisti, degli esperti, con contratti e paghe. I famosi ‘angeli del fango’, i volontari, indicano che invece qui c’è un vuoto. La società che abbiamo in mente non è qui. In queste ore siamo troppo impegnati a essere presenti, per poter indicare cosa manca. Ma il nostro intervento non deve assolvere chi non c’è, chi non è stato presente”.

La scrittrice toscana Simona Baldanzi, autrice di diversi libri sulla situazione industriale e sul dissesto idrologico della regione, il 5 novembre ha partecipato a un’assemblea della Gkn: “In generale mancano politiche e progetti, anche questa volta lo stato è assente. Mi ha colpito molto che questa fabbrica, in difficoltà, stia dando una mano agli alluvionati”.

In passato i mezzadri della piana sono passati a uno sviluppo industriale redditizio e rapido, tirando su capannoni anche in aree molto fragili dal punto di vista ambientale. “Si è costruito anche sulle paludi”, afferma Baldanzi. Poi via via le fabbriche sono state chiuse e i territori sono stati abbandonati, e questo ha aumentato il rischio di catastrofi: “L’alluvione ha coinvolto la provincia di Prato, Pistoia e Firenze. Diverse città e province. La natura ci ricorda che abbiamo bisogno di un orizzonte un po’ più largo, ci serve una prospettiva d’insieme per affrontare i problemi del territorio: i fiumi uniscono e il rischio climatico e idrogeologico ci riporta alla necessità di superare gli interessi particolari, per tornare ad avere una visione d’insieme”.

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it