Bari è una città fatta di soglie, è facile capire dove un quartiere comincia e un altro finisce. Oltre il nucleo della città antica, i vicoli di Bari vecchia, le mura e il mare, una maglia quadrangolare di vie si estende fino alla ferrovia. È la Bari ottocentesca. Poi appare la città nuova, cresciuta nell’entroterra con le periferie pubbliche e inglobando frazioni già consolidate, che si è espansa in maniera scomposta, per interventi isolati e addizione di parti, ognuna chiaramente riconoscibile e con una sua identità.
“Gioacchino Murat aveva disegnato una città meravigliosa, fatta di isolati quadrati con aranceti al centro. Così era Bari negli anni trenta”, racconta Gianfranco Viesti, professore di economia all’università di Bari. “Poi, nel secondo dopoguerra, la città è caduta nelle mani della rendita fondiaria e della speculazione edilizia”. Da una trentina di anni si cerca di invertire il corso, recuperando piazze e spazi pubblici, destinandoli a verde, connettendo i quartieri, rigenerando il tessuto economico e sociale. “Ma non è facile. Bari è una città densa, molto cementificata”.
La città è costellata di piccoli interventi e sono tante anche le grandi opere al via. Dal 2015 la giunta ha messo in campo una strategia di rigenerazione urbana fatta di tante azioni, materiali e sociali, per rafforzare la comunità. Adesso, con i grandi interventi come il Nodo verde ferroviario, il progetto di parco costiero Costa sud, nuovi percorsi di bus elettrici, la riqualificazione dell’ex Manifattura tabacchi, Bari potrebbe cambiare volto. Quello che ancora manca, per completare l’innovazione, è un nuovo piano urbanistico generale, il principale strumento di pianificazione che determina lo sviluppo di una città.
Il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) destina a Bari e alla città metropolitana risorse cospicue per diversi progetti. Secondo Viesti, sarà una delle città europee che cambierà di più nei prossimi anni. “È un momento straordinario, potrebbe avvenire una trasformazione colossale, mai vista prima, già in corso in minima parte, ma il grosso è previsto fra tre, cinque anni”. Per esempio il progetto per nuovi percorsi di bus elettrici, il Bus rapid transit (Brt), finanziato con 160 milioni di euro, potrebbe cambiare completamente la mobilità.
Le sette eliche
I progetti inclusi nel Pnrr dovrebbero integrarsi con interventi già previsti e in parte in corso, come quelli finanziati con i fondi della politica di coesione europea (Fesr e Fse) nell’ambito del Programma operativo nazionale città metropolitane 2014-2020 (Pon Metro) e del Programma operativo complementare città metropolitane 2014-2020 (Poc Metro). Il Pon Metro della città di Bari è finanziato con 86 milioni di euro e prevede numerosi interventi, sia fisici sia immateriali, come quelli per lo sviluppo economico e la coesione sociale. La strategia complessiva si chiama Bis, Bari innovazione sociale.
Viesti sottolinea le possibili criticità di questa pioggia di fondi e progetti: da una parte i rischi legati alle tempistiche imposte dal Pnrr (i progetti devono essere completati entro il 2026), dall’altra l’assenza di una strategia complessiva, di una visione di sistema, che leghi la grande quantità di interventi che devono prendere il via. Viesti è ottimista sulle capacità progettuali dell’amministrazione comunale, ma rileva una forte carenza sul piano della comunicazione e della partecipazione ai nuovi cambiamenti. “Dal punto di vista della capacità del comune di informare i cittadini di queste opere non siamo messi bene. I progetti non si trovano e c’è poca informazione. Io non ho ancora visto i percorsi di queste linee di bus rapido. Tra un paio di anni la città sarà invivibile per la quantità di cantieri”.
Il comune vuole replicare l’esperienza del parco Gargasole e promuovere la gestione condivisa dei beni comuni
Bari vive di relazioni con il territorio circostante. I 41 comuni dell’area metropolitana, dove abitano oltre 1,2 milioni di persone, non sono gerarchicamente subordinati al capoluogo ma hanno proprie identità ed economie, su cui Bari non svolge una funzione di controllo. L’economia cittadina, storicamente legata al commercio e alla manifattura, ma anche all’edilizia, è oggi in transizione. Nel capoluogo pugliese hanno sede numerosi centri di ricerca e formazione, e la città sta attirando aziende che lavorano nel campo del digitale. Di più, da qualche anno sta vivendo un boom turistico.
Per accompagnare la transizione, il comune ha messo in campo una strategia di rigenerazione urbana che punta a rafforzare la comunità sotto la guida di Carla Tedesco, assessora all’urbanistica dal 2014 al 2019. “Già dal 2015 abbiamo cominciato a lavorare sui servizi di prossimità, sull’idea di città dei 15 minuti, sulla connessione con l’area metropolitana, sulla qualità della vita”, spiega Alessandro Cariello, componente del gabinetto del sindaco per le politiche di riqualificazione urbana.
Il secondo mandato del sindaco Antonio Decaro è cominciato alla metà del 2019 e a lui è passata la delega all’urbanistica. Poi è arrivata la pandemia, che ha confermato la strategia di rigenerazione, che verte intorno a sette temi, chiamati “eliche”: i presidi di prossimità con i servizi primari entro 15 minuti, la transizione ecologica, il contenimento del consumo di suolo, la mobilità sostenibile, il lavoro sulle periferie, la partecipazione civica e la riconnessione della città con il mare. “Per ciascun asse abbiamo cominciato a costruire programmi specifici e a investire risorse”.
Reti urbane di prossimità
È nata Colibrì, una rete di undici biblioteche di quartiere, che offre anche servizi come un doposcuola. “È un presidio di prossimità, un luogo di riferimento”. In rete con le biblioteche, sono nati in tutti i quartieri “hub di innovazione sociale” e le Reti civiche urbane, finanziate con più di un milione di euro di fondi Poc Metro: dodici reti di associazioni che per 18 mesi hanno elaborato programmi di animazione culturale e sociale.
Il bando Urbis, ancora una misura del Pon Metro, ha finanziato la creazione di 86 nuovi progetti di impresa sociale nelle aree più fragili della città attraverso contributi a fondo perduto. Sono nate ciclofficine, centri sportivi, lavanderie e orti sociali, portierati di prossimità. “Sono piccoli progetti pensati per fare rete, per promuovere il commercio di prossimità, l’innovazione culturale”. Ancora: il programma Rigenerazioni creative, avviato nel 2018, promuove l’attivazione e la cura di spazi abbandonati nei cinque municipi della città.
Il comune ha individuato nove aree destinate a verde, ancora non realizzate, segnalate dai cittadini, e gliele ha affidate. Il programma è stato ideato come estensione dell’esperienza del parco Gargasole, uno spazio all’interno della ex Caserma Rossani, di proprietà del comune e dismessa negli anni novanta. La caserma era stata occupata da attivisti nel 2014 e riaperta con una biblioteca, una palestra, un orto. L’amministrazione ha sottoscritto un accordo con gli occupanti e ha avviato un percorso partecipativo per decidere il futuro dell’area. Nel 2017, in seguito a un avviso promosso dal comune, una parte è stata trasformata dai cittadini nel parco Gargasole.
Attraverso i nuovi programmi l’amministrazione vuole replicare questa esperienza, e promuovere la gestione condivisa dei beni comuni. Lavorare sulla città fisica non è l’obiettivo primario, ma lo strumento per attivare le comunità, spiega Cariello. Secondo Viesti, però, con il Pnrr l’innovazione sociale rischia di essere spiazzata dal cemento: il Pnrr non è un piano economico, ma un grande piano di opere pubbliche. Gli interventi potrebbero produrre effetti di tipo economico, per esempio migliorando la mobilità, ma il primo impatto è quello edilizio. “È comunque un dato positivo, vista la caduta fortissima degli investimenti pubblici negli anni dieci”.
Il Nodo verde
Uno degli interventi che potrebbe cambiare il volto di Bari, ma di cui si sa poco, è il Nodo verde. Il progetto risale a dieci anni fa, quando l’architetto Massimiliano Fuksas ha vinto il concorso bandito dal comune per rigenerare un’area di 78 ettari nel centro della città e ricucire i due quartieri divisi dalla stazione ferroviaria. “L’idea era coprire la stazione con una piastra alta poco meno di venti metri, quanto un edificio di cinque piani, su cui sarebbero stati piantati degli alberi”. Il primo lotto del Nodo, in corrispondenza della stazione di Bari, è uno dei “progetti pilota” del bando Pinqua (Programma innovativo qualità dell’abitare), per interventi di edilizia sociale e rigenerazione urbana, inseriti nel Pnrr, finanziato con cento milioni di euro. Gli altri due progetti Pinqua approvati, finanziati con solo 15 milioni di euro ciascuno, riguardano due quartieri di edilizia residenziale pubblica, San Pio e Santa Rita.
“È un intervento che ricuce le parti di città? È sostenibile dal punto di vista gestionale? È sensato?”, domanda Angela Barbanente, docente di urbanistica del Politecnico di Bari e assessora alla qualità del territorio della regione Puglia fino al 2015. La risposta, al momento, è negativa. “Tecnicamente si tratterebbe di un grande manufatto in cemento armato ricoperto da uno strato di verde di circa 50 centimetri di spessore”. Il progetto di Bari Centrale, affidato alla Rete ferroviaria italiana (Rfi), è stato in parte modificato, abbandonando l’idea di estendere la collina verde oltre l’area limitrofa alla stazione. Di più, c’è un grosso problema tecnico di areazione e impiantistica della copertura. Una volta realizzata, la struttura avrà dei costi di gestione non previsti dai fondi per la realizzazione, un problema comune a molte opere finanziate con il Pnrr. Di più, secondo Barbanente il Nodo non è in grado di avvicinare i quartieri. “Realizzare una barriera lunga un chilometro, come nel primo stralcio del progetto, pone problemi anche ambientali: potrebbe impedire al vento di nordest di arrivare al quartiere al di là della stazione, che ha un’alta densità insediativa”.
A nord della stazione un nuovo tracciato è stato inserito nel progetto per la linea Adriatica tra Bologna e Lecce. A sud è previsto l’arretramento dei binari nei dieci chilometri tra Bari e Torre a Mare: questo consentirebbe di realizzare un altro importante intervento, quello della Costa sud, finanziato con 75 milioni di euro nell’ambito del Piano strategico grandi attrattori culturali del Pnrr, per la creazione di un ampio parco costiero di sei chilometri, in un’area oggi poco agibile e degradata. Il progetto, esito di un concorso nazionale di idee indetto dal comune nel 2018, potrebbe ricollegare il quartiere Japigia al mare, consolidare le realtà di orticultura presenti, valorizzare il paesaggio e l’ecosistema naturale. “Costa sud è stato ideato dall’ex assessora all’urbanistica del comune, Carla Tedesco. È un progetto molto bello, ma non è di facile realizzazione: una grande parte dovrà essere espropriata dal comune”, spiega Barbanente.
La realizzazione del parco costiero prevede il trasferimento di volumetrie edilizie, previste dal piano regolatore, nella zona limitrofa. Qui, le previsioni edilizie potrebbero infatti contribuire a riqualificare una zona che è cresciuta in maniera disordinata, con insediamenti semilegali, enclave private, immobili isolati, e un quartiere, Japigia, caratterizzato da una grande estensione e una bassa densità edilizia. “L’idea è quella di spostare i volumi previsti dal piano regolatore in aperta campagna, per compattare e rigenerare i quartieri periferici come Japigia”, spiega Cariello.
Avvicinare questi volumi edilizi verso il centro della città consentirebbe anche di ridurli, perché lo stesso valore immobiliare si ottiene con meno volume in centro che in periferia. In urbanistica questa tecnica di omogeneizzazione dei vantaggi localizzativi legati alla rendita urbana si chiama perequazione. Con questo strumento, il progetto Costa Sud affronta il problema del consumo di suolo. Ma non lo risolve.
Il piano urbanistico che non c’è
Il piano regolatore di Bari prevede la costruzione di ulteriori 13 milioni di metri cubi di edifici. Elaborato a partire dal 1965, redatto da Ludovico Quaroni e approvato nel 1976 ormai appartiene a un’altra stagione e contiene previsioni di crescita obsolete. “Rispondeva all’idea di una città-regione. È stato pensato negli anni sessanta per una città in espansione, con previsioni demografiche molto ottimistiche, per circa 600mila abitanti”, osserva Barbanente. L’aumento della popolazione non si è verificato: oggi Bari conta 320mila abitanti, e si prevede che diminuiranno ancora sensibilmente. Eppure si continua a costruire, anche se il calo demografico e le condizioni del mercato edilizio rendono sconvenienti le operazioni immobiliari. Dunque gli obiettivi di quel piano non sono più sostenibili, né ecologicamente né sul piano economico. Ma gli interessi di grandi proprietari e imprese di costruzione ostacolano il cambiamento.
Questo è un problema di molte città in Italia, forse il problema principale: quello di un cambio di paradigma, con l’annullamento di previsioni edilizie obsolete, che non arriva. “Sostituire questi piani regolatori sovradimensionati con nuovi piani richiede una politica forte. Il piano è un atto politico, assistito tecnicamente. Se la politica oggi cerca di evitare ogni possibile dissenso, è evidente che non si riesce ad approvare il nuovo piano urbanistico generale”, commenta Barbanente.
Altri due fenomeni stanno cambiando la città: la crisi del commercio al dettaglio e la trasformazione dell’economia urbana
Carla Tedesco, docente di urbanistica allo Iuav di Venezia ed ex assessora all’urbanistica del comune di Bari, ha tentato di fare proprio questo: aggiornare il piano regolatore di Quaroni con un nuovo, moderno, Piano urbanistico generale. Il percorso per il nuovo piano era stato avviato dal sindaco dell’epoca Michele Emiliano, un documento programmatico preliminare era stato approvato nel 2011 e le bozze erano state consegnate nel 2014. “Ho avviato un percorso partecipativo che supportasse una nuova visione di città, in linea non solo con il piano paesaggistico regionale da poco approvato a cui adeguare le bozze, ma anche con le indicazioni dei cittadini”. Sono stati aperti trenta sportelli di ascolto negli spazi della vita quotidiana delle persone, ci sono state passeggiate urbane, laboratori, sportelli, un sito web, e una elaborazione finale che proponeva due cose: “Un’idea di città che smetta di consumare suolo e cominci a rigenerare se stessa, e l’idea di anticipare la direzione del piano, mentre era in elaborazione, con alcuni progetti da far partire subito”. Costa sud era uno di questi. E poi c’erano le iniziative di rigenerazione a misura di quartiere, e quelle dal basso con il programma Rigenerazioni creative. “Interventi che, se connessi, diventavano l’ossatura portante della città del futuro”.
La legge regionale sul piano casa ha messo in ginocchio questa visione, consentendo interventi edilizi, definiti di “rigenerazione”, demolizione e ricostruzione di edifici con la possibilità di un aumento del volume del 35 per cento, e il cambio di destinazione d’uso, per esempio da commerciale a residenziale. Queste operazioni, fatte in aree semicentrali urbanizzate, facilmente accessibili e ben servite, sono molto redditizie perché aumentano il valore immobiliare. Così sono ricominciate le demolizioni di edifici, come quelle che hanno segnato il centro storico nel secondo dopoguerra, ed erano state frenate dall’approvazione del piano regolatore nel 1976.
Libertà e l’economia che cambia
Altri due fenomeni stanno cambiando la città: la crisi del commercio al dettaglio e la trasformazione dell’economia urbana, per effetto di processi internazionali. Via Manzoni, nel quartiere Libertà, era un tempo la via principale dei negozi di fascia bassa. Oggi è un deserto. Qui si svolge l’ultimo atto di un lento declino di un’economia che ruotava intorno ad acciaierie, raffinerie, macelli e manifatture, oggi chiuse. Libertà è una periferia nel cuore della città: ancora popolare, è il quartiere più densamente abitato, dove le famiglie sono più numerose (il 30 per cento è composto da nuclei con più di cinque componenti), con un’alta concentrazione di botteghe, ma anche di disoccupazione. È un quartiere misto, il più giovane della città, e ospita un quarto dei migranti presenti a Bari.
Il comune ha individuato Libertà come campo prioritario degli interventi di rigenerazione urbana. La strategia si chiama Bis Libertà ed è uno dei dodici progetti finanziati nel 2019 con il Fondo nazionale per l’innovazione sociale. “Abbiamo fatto un esperimento”, racconta Vitandrea Marzano, dirigente del gabinetto del sindaco. “Abbiamo esplorato il quartiere coinvolgendo un campione di ragazzi del quartiere. È emerso un quadro di grande precarietà, di abbandono scolastico, ma anche di grande fiducia nel futuro e nella partecipazione. Su questa leva abbiamo progettato un laboratorio permanente di elaborazione civica e di partecipazione politica”. Sono stati attivati laboratori di formazione nei settori della ristorazione, dell’audiovisivo, del digitale e dell’animazione sociale, e poi tirocini con aziende e un vivaio d’impresa. Sono queste le basi per il primo social impact bond della città, uno strumento di finanza di impatto sociale, in grado di attirare investimenti e remunerare il valore sociale prodotto. Il meccanismo si basa sulla disponibilità di sostegno economico a fronte della responsabilità del soggetto attuatore di conseguire i risultati predefiniti.
Altri progetti curano lo spazio pubblico: “Una priorità, in un quartiere di 43mila abitanti con solo due piazze e un giardino”, precisa Cariello. Ma l’intervento più significativo riguarda l’imponente ex Manifattura tabacchi, tra gli edifici più grandi esistenti a Bari, costruita nei primi del novecento. Nel 1982 le attività sono state spostate e l’edificio è rimasto vuoto.
Oggi al piano terra c’è il mercato giornaliero. Al piano superiore, in un’ala ristrutturata, ha aperto nel 2015 il centro per l’impiego Porta Futuro Bari, che offre servizi a cittadini e imprese, incrociando domanda e offerta di lavoro. “Il comune ci ha poi affidato anche la gestione di programmi per l’attrattività e la competitività di territori e imprese”, spiega Roberto Covolo, responsabile di economia urbana e sostegno alle attività imprenditoriali nel gabinetto del sindaco.
Bari sta vivendo un fenomeno interessante: l’arrivo di almeno una dozzina di aziende digitali, e dunque la creazione di posti di lavoro in un terziario avanzato e innovativo, proprio quello che manca nel mezzogiorno, e che potrebbe caratterizzarla. Secondo Viesti questo dipende pure dal fatto che la città ospita diversi istituti di formazione e ha presenze storiche nel campo dell’informatica. Queste aziende assumono localmente, aggiunge Covolo, anche grazie a politiche pubbliche come un sistema di incentivi della regione e l’intermediazione, da parte del comune, tra le aziende e i centri di ricerca, con programmi come Invest in Bari, e assistenza con permessi e autorizzazioni.
Porta Futuro sostiene le economie di prossimità con il programma d_Bari e iniziative come “Un negozio non è solo un negozio”, finanziato con quattro milioni di euro per supportare un centinaio di attività in tutta la città, in cambio di un’offerta di nuovi servizi e attività. “Proviamo ad accompagnare le transizioni dell’economia urbana con politiche pubbliche, anche di rigenerazione dei luoghi”. Presto nella ex Manifattura si insidieranno anche gli uffici del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr) con mille ricercatori, quasi il simbolo del passaggio dell’economia urbana dal settore manifatturiero a quello della conoscenza. Al tempo stesso, però, il comune intende trasferire gli uffici giudiziari presenti a Libertà. Barbanente non è d’accordo con la scelta: “Sono un presidio sociale, consentono a questo quartiere così misto di conservare una varietà di funzioni”. Infine, il turismo sta arrivando anche qui.
L’arrivo del turismo
Il turismo ha fatto il suo ingresso a Bari Vecchia dopo la riqualificazione negli anni novanta con il piano Urban. “Prima di allora questa zona era una piazza di spaccio. Io l’ho visitata per la prima volta a 22 anni”, racconta Antonio Ottomanelli, che ha da poco rilevato un albergo a Libertà dove organizza anche eventi culturali.
Patrizia Sisto, che lavora con Ottomanelli, aveva aperto uno dei primi locali a Bari Vecchia frequentato dalla comunità lgbt+. “Diverse operazioni hanno permesso lo smantellamento del nucleo fortemente mafioso in centro, ed è cominciata la pulizia della città. Una volta subentrato il turismo, Bari Vecchia si è ripulita ancora di più: oggi è la zona più sicura della città. Sono gli abitanti per primi a tutelare il turismo, e quindi la sicurezza”. Dopo Bari Vecchia, il boom ha investito il quartiere limitrofo, Murat. Molti appartamenti sono finiti su Airbnb (che presenta quasi settemila annunci per la provincia di Bari) e sono aumentati i locali specializzati nella ristorazione. Ma anche qui, dove fino a dieci anni fa era alta la richiesta di spazi commerciali, si cominciano a vedere diversi locali sfitti.
L’aumento del turismo è dovuto soprattutto ai nuovi collegamenti aerei low-cost, facilitati dal raddoppio dell’aeroporto. “Questo ha generato un flusso notevole di turisti, diretti sia a Bari sia nei dintorni, e ha provocato soprattutto a Murat un effetto sul mercato immobiliare non del tutto positivo”, spiega Viesti. L’offerta di case-vacanza ha ristretto drasticamente il mercato ordinario degli affitti. “È un problema che l’amministrazione non ha ancora affrontato”.
Adesso, secondo Ottomanelli, l’onda del turismo e della speculazione immobiliare sta arrivando anche a Libertà. Nel quartiere sono diversi gli edifici vuoti e in stato di abbandono: qui si gioca la partita tra la marginalità sociale e gli interessi della rendita fondiaria. “Libertà è nel centro della città, un centro che è possibile riscrivere e ripensare. Non a caso un bosco verticale dell’architetto Stefano Boeri sorgerà proprio in questo quartiere”, commenta Ottomanelli. Il turismo, però, rischia di determinare le logiche della rigenerazione urbana anticipando la pianificazione pubblica. Il mercato degli affitti si contrae, i valori immobiliari crescono, le famiglie si spostano fuori del centro. “Questo ci dice che a Bari esiste ancora una borghesia imprenditoriale legata al mattone che decide come cambia la città”. Anche le politiche culturali, secondo Ottomanelli, sono sempre più orientate a una logica di mercato. La cultura, dice, “diventa ornamentale, intrattenimento, tappezzeria culturale”.
Ottomanelli ha aderito al programma d_Bari ricevendo un contributo per l’ammodernamento del suo albergo. Sul tetto sta finendo di installare delle arnie per ospitare le visite dei bambini della scuola di fronte. L’albergo è ancora chiuso, ma pullula di attività e incontri, come quello con alcuni operatori turistici. Ottomanelli li invita a ragionare sulla costruzione di un immaginario del quartiere diverso da quello turistico, che finisce per diventare egemone e in cui, sostiene, la povertà è ridotta a elemento di folklore. “Per chiamarci fuori da questa immagine stereotipata vogliamo provare altre strade: rilanciare un’immagine di Bari non appesa a un’identità facilmente vendibile, provare a ragionare su contenuti più complessi, invitando gli abitanti stessi a esplorare il quartiere e la sua storia”.
Il rischio è che se la politica non interviene sulle dinamiche profonde, legate all’uso dei suoli e alla rendita immobiliare, che hanno modellato Bari e che ancora oggi decidono come cambia la città, le operazioni di rigenerazione urbana e le azioni di rafforzamento delle comunità locali non potranno arginare l’emergere di nuove speculazioni, nuove povertà e disuguaglianze sociali. Le bozze aggiornate del nuovo piano urbanistico generale sono state consegnate da Tedesco all’inizio del 2019, ma sono ancora nel cassetto. “È l’ultima cosa che ho lasciato. Il piano doveva essere oggetto di un dibattito pubblico, ma non è successo”, dice l’urbanista. Secondo Cariello il processo per l’approvazione del piano non si è chiuso, ha solo rallentato.
Ma senza un nuovo piano urbanistico a dirigere le trasformazioni, Bari potrebbe ancora una volta subire una “metamorfosi nella continuità” di interessi vecchi. Il rischio è che così come la città si è formata per singoli interventi, anche i progetti di rigenerazione restino isolati, frammentari ed episodici, e che non siano espressione di un cambio di paradigma, di una radicale innovazione nella visione di città. Senza una cornice politica, gli interventi si riducono a elenchi di opere e iniziative e le componenti sociali ed ecologiche perdono forza. “Le azioni dal basso devono uscire dalla nicchia delle ‘buone pratiche’ che riducono il conflitto senza incidere sulle dinamiche strutturali”, afferma Tedesco. “Le buone pratiche dovevano anticipare la direzione del piano per entrare nel discorso pubblico, cambiare le istituzioni e i suoi strumenti. Per questo, però, c’è bisogno di scelte politiche nette”. ◆
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