Si dice che l’Afghanistan sia una delle nazioni più pericolose per le donne, ma a ben guardare sono i diritti fondamentali di ogni essere umano a essere violati. Ne hanno parlato Horia Mosadiq, attivista per i diritti umani e giornalista afgana, dal 2008 ricercatrice per Amnesty international, e il giornalista Stefano Liberti, ospiti di Internazionale a Ferrara venerdì pomeriggio.
Quando i talebani presero il potere nel Paese, negli anni ‘90, le cose cambiarono in fretta per uomini e donne: una sharia sempre più rigida andava affermandosi, e se agli uomini era imposta la preghiera in moschea 5 volte al giorno, alle donne fu proibito andare a scuola, laurearsi, fino a rendere loro impossibile anche uscire di casa se non accompagnate. «Fu allora che il mondo dimenticò l’Afghanistan – ha commentato l’attivista – e probabilmente se ne scordò anche Dio. Rimanemmo in balìa dei talebani fino all’11 settembre 2001, quando l’Occidente ricominciò a interessarsi a noi». E oggi, a 15 anni dall’invasione occidentale, non si può dire che non sia cambiato nulla: «Abbiamo 6 milioni di bambini che hanno ripreso ad andare a scuola, le donne sono tornate al lavoro, e in diversi ruoli: abbiamo donne medico, ingegnere, in polizia». Parlando della situazione femminile nella vita quotidiana, Horia ha raccontato quanto difficile far rispettare i pochi diritti che le donne hanno ottenuto lottando duramente: un esempio tra tutti è l’ottenimento del divorzio, tanto possibile in teoria per entrambi i sessi, quanto impraticabile in realtà per le donne. «Certo, possiamo chiedere il divorzio – ha spiegato infatti Horia – ma è talmente difficile trovare le prove necessarie, e talmente limitati i casi in cui ci è concesso richiederlo, che diventa impossibile, di fatto. Inoltre, con la separazione, la donna perde totalmente ogni diritto sui figli, e per molte è difficile anche solo provvedere economicamente a se stesse, visto che la maggior parte delle donne è analfabeta in Afghanistan». Non solo: anche in caso di violenza le donne difficilmente vengono prese sul serio, sia dalla famiglia sia dalle forze dell’ordine. Come ha evidenziato Horia Mosadiq, infatti, la donna è considerata come un essere debole, non autonoma, addirittura incapace di prendere decisioni da sola. «Se si incontra una donna forte e indipendente viene immediatamente etichettata come immorale», ha continuato. Non solo accusate dai talebani, ma pure allontanate dalle proprie comunità, le donne però oggi non si scoraggiano, lavorano per il cambiamento sociale nonostante gli attacchi e gli insulti. Sanno che è necessario un sacrificio, e sono contente di subire tutto il necessario per consegnare un futuro migliore alle generazioni successive. Mentre avveniva questo cambiamento nel versante femminile della popolazione, però, gli uomini sono rimasti nelle loro convinzioni: le campagne di sensibilizzazione erano rivolte soprattutto alle donne, ma è inutile conoscere i propri diritti se non si può ottenere appoggio dagli uomini a cui si è vicine.
Sulla questione del burqa e del burkini, la Mosadiq ha voluto essere chiara: «Non dobbiamo confondere la scelta con l’imposizione – ha affermato – qualunque cosa obbligatoria è una limitazione alla libertà, ma molte donne afgane scelgono liberamente di indossarlo: il burqa può essere un’ottima protezione, e proprio molte attiviste lo usano per nascondere la propria identità».
Irene Lodi