01 ottobre 2016 12:37

È possibile per i giornalisti occidentali raccontare realisticamente la Cina di oggi? Quale è il rapporto con le fonti informative locali? Ha provato a rispondere a queste domande l’incontro di venerdì 30 settembre alle 15.30 al Teatro Nuovo di Ferrara nell’ambito della edizione 2016 del Festival di Internazionale.

Il dibattito, condotto dalla giornalista Junko Terao della redazione di Internazionale, è stato animato dal giornalista britannico James Palmer, dal docente universitario americano Jeffrey Wasserstrom e dalla giornalista cinese Hu Shuli.

Palmer, esperto di cultura e società cinese, è reduce da una lunga esperienza nella redazione di The Global Time, il quotidiano in lingua inglese che People Daily dedica alla Cina. Il suo punto di vista sulla possibilità di raccontare obiettivamente la realtà di questo grande paese è netto: “Gli unici soggetti disposti a farsi intervistare sono i dissidenti ormai fuori dal sistema di potere, mentre è impossibile avere il punto di vista e le ragioni di chi sostiene il regime.

La paura di penalizzazioni sulla propria carriera è grande, influenza la libertà di espressione e la situazione è peggiorata nel corso degli ultimi 3 o 4 anni. È sensibilmente aumentata la diffidenza nei confronti dello straniero, letteralmente vissuto come estraneo, a partire dalle alte sfere” ha puntualizzato Palmer “così che risulta difficilissimo scrivere seriamente di politica”.

Di diverso avviso è Shuli Hu fondatrice della rivista finanziaria Caijing Magazine e direttrice del gruppo editoriale Caixin Media, considerata una delle persone più influenti del paese. “L’informazione in Cina è molto più aperta rispetto a 20 anni fa e grazie alle nuove tecnologie si sono moltiplicate le fonti. Questo rende difficile la selezione di quelle affidabili da parte dei reporter occidentali che scontano lo svantaggio di non conoscere la nostra lingua e di dover superare una certa diffidenza da parte dei funzionari o delle persone in posizione chiave nel farli accedere a documenti e dati”. Hu fa riferimento, inoltre, alla rapida e costante evoluzione della società e alla grandezza territoriale della Cina, elementi entrambi che richiederebbero redazioni molto ampie, difficili per un giornale estero “La mia redazione è composta da 200 giornalisti” spiega e il nostro prodotto cartaceo e su web è ormai parte integrante dell’informazione considerata autorevole”.

Secondo Jeffrey Wasserstrom, docente alla Università della California autore di China in the 21st century: what everyone needs to know e coautore del recentissimo The Oxford illustrated history of modern China lo sguardo occidentale sulla Cina sconta almeno due preconcetti diffusi: l’idea che il paese non cambierà mai e l’idea che sia definitivamente cambiato dopo la rivolta popolare del 1949. Una visione equilibrata si colloca nel mezzo, secondo Wasserstrom: “Queste due prospettive sono entrambe vere poiché c’è la continuità e ci sono anche le fasi di rottura”.
Terao domanda se un limite nel raccontare la Cina sia l’immancabile riferimento ai grandi temi ricorrenti: il partito comunista, l’inquinamento, le grandi fabbriche.
Palmer conferma che questo limite c’è e porta a trascurare le storie che semplicemente “parlerebbero da sole” afferma.

È dello stesso avviso Wasserstrom, secondo il quale “Nel parlare della Cina si cerca sempre il grande tema ma, così facendo, si perdono di vista le varie tendenze”. Secondo Hu lo sviluppo dei nuovi media, sui quali sono attive le fasce piu giovani della popolazione, contribuisce a raccontare una realtà multiforme mentre su questo punto Palmer esprime il proprio dissenso facendo riferimento a una situazione che definisce “avvilente” per il ferreo controllo da parte del governo su siti, blog, account personali nei quali mette in atto interventi di censura. “Se la tecnologia aiuta tutti a comunicare ed esprimersi è altrettanto vero che rende possibile un controllo costante da parte delle autorità”, puntualizza.

In conclusione viene chiesta una opinione sulle prospettive e su questo Palmer si mostra pessimista “Il concentrarsi su temi strettamente locali, ad esempio una industria che riversa i propri scarichi nel fiume, è reso difficile dal prevalere di interessi economici e corruzione nei piccoli apparati di potere con reale pericolo per la stessa incolumità di chi scrive. Il governo cinese, inoltre, perpetua la convinzione che la stampa straniera tenda a minare l’immagine del paese e che aprirsi a un’altra visione della storia comporterebbe uno sgretolamento”. Sul tema del controllo della stampa e della libertà di espressione da parte del governo, Wasserstrom mette in relazione livello di attenzione con specifiche situazioni di emergenza, affermando che “Non è normale perpetuare una situazione di emergenza come accade in Cina”. Più ottimista Hu che sottolinea l’impulso vitale delle riforme avviate dal governo, prima tra tutte quella economica ora in atto.

Irene Marcello

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