04 ottobre 2016 18:57

Il tema dell’Europa e della crisi delle sue prospettive, uno dei principali affrontati da questo Festival, è argomento anche di “Senza slancio”, un incontro che mette uno di fronte all’altro Will Hutton, giornalista dell’Observer, Beatrice Covassi, rappresentate alla Commissione Europea, Natalie Nougayrède, giornalista francese del Guardian e Daniel Smilov, ricercatore presso il Cls Sofia. Conduce il dibattito la giornalista Adriana Cerretelli, editorialista del Sole 24 ore.

Cerretelli apre il panel facendo una cupa introduzione sui rischi che si trova ad affrontare oggi l’Unione, un organo «tentato dal suicidio», sull’orlo della disintegrazione, a cui continuano a mancare politiche comunitarie forti per quanto riguarda immigrazione, sicurezza, difesa ed economia. Come è possibile essere arrivati fino a questo punto?

Risponde Natalie Nougayrède, che si dice in disaccordo per quanto riguarda il tono pessimistico che solitamente si usa quando si parla di Europa. «Sarà un ragionamento contro-intuitivo, forse, ma l’Europa non è in un brutto momento se si considera che, dopo tutto quello che è successo, i sondaggi ci dicono che i cittadini che hanno un’immagine positiva dell’EU sono più di quelli che ne hanno un’immagine negativa», argomenta.
Smilov parla dell’esperienza europea del suo paese, la Bulgaria, che - dice - come la maggior parte dei paesi dell’est è sempre stata europeista; la tendenza sembra però essersi invertita recentemente, da quando la corrente euroscettica ha portato, ad esempio, all’imminente referendum in Ungheria. Questo perché, secondo Smilov, «è in atto una sorta di rivoluzione contro la solidarietà: i popoli credono che la solidarietà possa essere raggiunta soltanto all’interno dei confini nazionali», e questa è un’idea pericolosa.
Will Hutton collega la crisi dell’Europa alla crescente paura del terrorismo e all’ascesa delle destre - come nel caso di Brexit, che per lui è un progetto messo in piedi da pochi partiti di estrema destra coadiuvati da alcuni organi di stampa complici. «L’Europa è un progetto nobile, e noi siamo immobilizzati dall’incapacità di prendere delle decisioni comuni», commenta.
Un terzo fattore di crisi viene individuato nell’incapacità di andare incontro al nuovo: «pensate alla Silicon Valley, alla continua evoluzione tecnologica che va avanti lì: loro hanno il futuro in mano. Perché qui non c’è niente di simile?».
L’ultima ad intervenire è Beatrice Covassi, che spiega la crisi attraverso due concetti. Il primo è quello di appeasement: quella sensazione di impotenza, nata tra le due guerre, che anestetizzava la percezione del disastro imminente. «Adesso è lo stesso», commenta, «e fino a che siamo dentro la storia è difficile vederla con prospettiva»; la congiuntura storica però è particolarmente complessa, perché «se siamo arrivati fino a questo punto è perché le sfide della globalizzazione si sono palesate come mai prima d’ora».
Per affrontarle è necessaria una massiccia dose di resilience - la resilienza, capacità di adattarsi e sopravvivere alle difficoltà: «all’indomani della crisi, rinomati think tanks dicevano che l’Unione non sarebbe durata oltre il 2012; siamo nel 2016, e siamo sempre qua».

Cerretelli passa dunque ad interrogarsi sulle possibili soluzioni, e chiede agli ospiti come secondo loro si può uscire dalla crisi. Covassi spiega che l’obiettivo di Juncker è «rimanere coi piedi per terra» e passa in rassegna alcune delle cose che la Commissione Europea sta attualmente facendo («l’istituzione di una guardia frontaliera e costiera comune, un fondo di difesa unico, progetti di solidarietà ai giovani, il lancio della seconda tranche di investimenti strategici»). Conclude con un appello a domandarsi, «è l’Europa che non ci piace, o è questa Europa?».
Will Hutton, da cittadino britannico, si augura che l’Europa non faccia lo stesso errore del suo paese. «Presto vedrete con i vostri occhi le conseguenze catastrofiche di Brexit nel Regno Unito, e spero che di fronte a quel tracollo vi potrete ricredere». La Brexit comunque non è solo una questione economica, ma anche - e soprattutto - una questione culturale e sociale. «Le generazioni sono divise, la gente sta smettendo di parlarsi, e se nel Regno Unito sta crescendo un sentimento anti-immigrati nel resto d’Europa sta crescendo un sentimento anti-Regno Unito. Ci saranno momenti cupi», conclude.

Nougayrède, alla domanda se i francesi fossero contenti della Brexit, risponde che nessuno può esserne felice eccetto Marine Le Pen: «la prossima battaglia dell’Europa si combatte in Francia. Il Front National andrà sicuramente al secondo turno: è improbabile che poi vinca, ma qualche anno fa era improbabile anche che passasse il turno», e poi: «con difficoltà, ma l’Europa può sopravvivere senza il Regno Unito; non può farlo però senza la Francia».
L’ultima domanda è per Daniel Smilov, e riguarda l’idea di “Europa delle nazioni”, molto popolare nell’Europa dell’est. Smilov fa notare che, se l’UE può sopravvivere senza Bulgaria o Ungheria, non si può certo dire il contrario, e questo rende il referendum in Ungheria ancora più pericoloso. Tre cose da fare secondo Smilov per superare questa crisi sono: non farsi prendere dal panico, evitare le grandi riforme su larga scala e, soprattutto, riportare il focus sulla questione etica, un’etica della solidarietà: «il ragionamento di base dovrebbe essere, “questa soluzione può funzionare per tutti?”; se funziona solo per qualcuno, allora dobbiamo cambiare strada».
Alice Marsili

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