04 ottobre 2016 20:09

Jihadista europeo, sembra un ossimoro ma non lo è.

È possibile che società apparentemente democratiche, inclusive come quelle occidentali, possano generare al loro interno fenomeni così aberranti?

Dall’analisi dei tre esperti presenti domenica 2 ottobre nella sala del cinema Apollo, emergono invece i tratti di un problema che si sta radicando grazie a scelte sociali miopi.

Farhad Khosrokhavar, sociologo franco-iraniano, delinea il profilo del nuovo terrorista europeo evidenziando aspetti inediti nella narrazione classica dell’estremista islamico.

“Nei giovani di terza e quarta generazione, i terroristi sono spesso convertiti recenti e in molti casi anche persone psicologicamente fragili” spiega, e continua “il problema non è DAESH, che sta oggettivamente perdendo terreno, ma il vuoto ideologico che caratterizza oggi l’Europa. Non ci sono più utopie, come era stato il comunismo, mancano gli ideali. Gli estremisti riempiono questi vuoti perché i giovani hanno bisogno di credere in qualcosa”.

Anche Olivier Roy, orientalista e politologo, ci tiene a sfatare i falsi miti sulla genesi di questo nuovo terrorismo: “non è l’espressione della frustrazione della popolazione musulmana in Europa né del malessere delle banlieue. C’è piuttosto un problema di valori, una sorta di richiesta di spiritualità: il terrorista si uccide come gesto di fede, a differenza del militante politico che accetta la morte per la causa solo se inevitabile”.

Il contorno dello jihadista europeo che emerge nel corso dell’incontro è quello del giovane radicalizzato, anche abbastanza velocemente, a causa della deculturalizzazione di cui sono spesso vittime soprattutto i musulmani nei paesi francofoni. Farhad Khosrokhavar li chiama “francesi solo sulla carta” che vengono oggettivamente discriminati e non si sentono veri cittadini.

Alessandro Orsini, sociologo dell’università Luiss Guido Carli, ha elaborato un modello, che riassume in quattro fasi principali il fenomeno di radicalizzazione: DRIA, ovvero Disintegrazione dell’identità sociale, Ricostruzione dell’identità attraverso un’ideologia estremista, Integrazione in una setta rivoluzionaria e Alienazione dal mondo circostante, passaggio questo che favorisce la disumanizzazione dell’altro rendendo più facile l’assassinio.

L’ultimo elemento caratterizzante lo aggiunge Olivier Roy, sottolineando la totale mancanza di riferimenti e reali interessi geopolitici. Spiega “Non possiamo dire che i giovani che abbracciano DAESH abbiano un intento politico o di vendetta nei confronti di chi colpisce i musulmani, perché non sanno che l’IS ha colpito sia Hamas che Hezbollah, gruppi che notoriamente supportano la causa palestinese”.

Ma quali soluzioni allora? “Bisogna considerare le specificità di ogni paese europeo, quello che va bene in Italia non può essere applicato in Francia o in Belgio” è la posizione di Farhad Khosrokhavar che propone “bisogna smettere di vedere l’islam come qualcosa di esogeno e cominciare a considerarlo una religione come le altre. D’altra parte però ci deve anche essere un’inculturazione dei musulmani, che non ha niente a che fare con il colonialismo, ma deve insegnargli nuovi modi di vivere insieme, soprattutto tra uomini e donne”. Quindi integrazione intesa come mediazione piuttosto che assimilazione.

Concetto che Olivier Roy riprende “in Francia non c’è vera integrazione: viene proibito ai musulmani moderati di essere credenti in uno spazio pubblico, c’è una vera caccia ai simboli religiosi. Ma praticare il proprio culto è un diritto e alcune scelte politiche, come la decisione di proibire il burkini alle donne musulmane, sono veri e propri attacchi alla libertà”.

“L’IS è territorialmente finito” conclude Olivier Roy, ma se “non integreremo i profughi e le generazioni già residenti in Europa in modo attivo, rendendoli cittadini partecipi, si trasformeranno in una bomba a scoppio ritardato” profetizza Farhad Khosrokhavar.

Alice Scuderi

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