Quando fu pubblicato, nel 1988, Invisible city andò quasi subito esaurito. L’autore stesso, il fotografo statunitense Ken Schles, ebbe grandi difficoltà a trovarne una copia.

La cosa strana, racconta Schles, era che quel libro mostrava un quartiere, l’East side di Manhattan, molto vivace a livello culturale, ma molto spesso scenario di crimini e violenze tenuti nascosti. “Quel quartiere era un rottame. Avevo paura a camminare da solo con la mia macchina fotografica per le strade”.

Era il 1983 quando ci si trasferì, in un appartamento con le finestre chiuse con delle assi di legno perché il proprietario pensava di doversi proteggere dai furti e dai tossicodipendenti. E fu il buio in quelle stanze a fargli venire l’idea di usarne una come camera oscura per sviluppare le sue foto.

Le prime immagini che scattò ritraevano la donna che si trasferì al piano di sotto, una madre con due bambini, tossicodipendente, che passava spesso le serate accompagnate da droghe e alcol.

Schles trascorse gran parte degli anni ottanta continuando a fotografare le feste, i bar, le strade, ma anche la povertà e la droga di quel quartiere, costruendone un ritratto molto intimo, in bianco e nero.

Una mostra alla Howard Greenberg gallery di New York ospita, fino al 14 marzo 2015, quaranta immagini di Schles tratte dai due progetti Invisible city e Night walk.

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