Nel 2015, il fotografo Richard Mosse e il filmaker Trevor Tweeten si trovavano su una collina al confine tra la Turchia e la Siria e osservavano gli scontri in corso nella città di Dabiq, a dieci chilometri di distanza. “Potevamo vedere gli edifici che andavano in fiamme, i razzi nel cielo e il lancio dei mortai”, racconta Mosse. “E seguendo la direzione dei missili, riuscivamo a scovare i combattenti nello loro posizioni nascoste e le bandiere dei jihadisti del gruppo Stato islamico”, aggiunge.

Questi avvistamenti sono stati possibili grazie all’uso di una macchina fotografica a infrarossi in grado di rilevare il calore umano a una distanza di più di trenta chilometri. È una macchina usata dai militari sia come strumento di videosorveglianza sia come, se collegata a un’arma, per individuare e seguire un bersaglio. Mosse ha scelto di sfruttare questa tecnologia per seguire il viaggio dei migranti in fuga dal Medio Oriente e dall’Africa settentrionale verso l’Europa.

“Cercavo di ascoltare attentamente la macchina fotografica per capire cosa avrebbe fatto e poi ho cercato di trasformare quello che sentivo nel racconto drammatico della crisi dei migranti”, spiega Mosse.

Il lavoro è stato trasformato in un’installazione video, su tre schermi, in cui i profughi, le imbarcazioni sovraffollate, gli accampamenti, i giubbotti di salvataggio e le spiagge, sono ritratte come degli spettri. E poi in un grande libro, della casa editrice Mack, intitolato Incoming.

Sul numero di Internazionale 1208 sono state pubblicate altre immagini che Mosse ha realizzato con la stessa macchina fotografica a infrarossi, tratte dal lavoro Heat maps con cui ha vinto il premio Pictet 2017.

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it