Autore di una delle opere più conosciute nella storia dell’arte, il pittore norvegese Edvard Munch (1863-1944) è stato anche uno dei primi artisti a sperimentare con l’autoritratto fotografico; una mostra alla Scandinavia house di New York rivela al pubblico i suoi lavori con la fotografia e le immagini in movimento.

Da fotografo dilettante e senza alcuna intenzione di mostrare questi scatti al pubblico, ha esplorato le potenzialità dell’errore fotografico, come lo sfocato, il mosso e le esposizioni multiple. Munch ha creato con la fotocamera una realtà distorta e spettrale, popolata da multiformi versioni di se stesso.

I suoi esperimenti fotografici risalgono a due periodi distinti, tra il 1902 e il 1910 e tra il 1927 e gli anni trenta; sono momenti in cui l’artista affronta problemi di salute. Si avvicina alla fotografia nel 1902, dopo la fine della burrascosa relazione con Tulla Larsen, che durante una violenta lite spara al pittore causandogli la perdita di un dito. Nel 1908 è un artista di successo, circondato da ammiratori come da detrattori, ma ansia e alcolismo lo portano al crollo nervoso. Entra nella clinica del dottor Daniel Jacobson a Copenaghen dove rimane fino al 1909 e comincia un percorso per ritrovare la stabilità psichica ed emotiva. Il secondo periodo in cui si concentra sulla fotografia è segnato dalla consacrazione nel mondo dell’arte con due retrospettive a Oslo e Berlino, ma anche da un’emorragia all’occhio destro che gli causa temporaneamente una riduzione della vista. In questi anni realizza anche dei film con una cinepresa a mano.

Davanti alla pellicola, Munch mette una versione sperimentale di sé: “Ho una vecchia macchina fotografica con cui ho scattato tantissime foto di me stesso, spesso con risultati eccezionali”, afferma nel 1930. “Un giorno, quando sarò vecchio, e non avrò di meglio da fare che scrivere la mia autobiografia, questi autoritratti vedranno la luce”.

The experimental self: Edvard Munch’s photography sarà aperta fino al 4 luglio 2018.

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