Dal 2007 il fotografo francese Samuel Gratacap racconta le storie dei migranti che ha incontrato in Tunisia, Libia e Italia. Ascoltando le loro testimonianze, cerca di tracciare le strade che percorrono dall’Africa all’Europa, attraversando il Mediterraneo.
I suoi lavori si concentrano sui luoghi che segnano le rotte migratorie, come i valichi di frontiera, i campi di accoglienza, le prigioni; per Gratacap però si tratta di una ricerca che supera i luoghi fisici e rivela anche il percorso per costruirsi una nuova identità. L’interesse per la questione migratoria nasce quando è ancora uno studente alla Scuola superiore di belle arti di Marsiglia. Il suo primo lavoro è La chance, ambientato in un centro della città francese, dove vengono detenuti i migranti considerati “irregolari”; la spinta principale è comprendere meglio il sistema giudiziario e le condizioni a cui sono sottoposti i migranti che non hanno un documento di riconoscimento.
“Seguendo le notizie diffuse dai media tradizionali mi sembrava di allontanarmi sempre di più dalla realtà, con le loro immagini anonime e le testimonianze impersonali”, racconta Gratacap, dichiarando esplicitamente le sue intenzioni come fotografo: “Volevo ricercare una realtà umana, rendere visibile queste storie al di là di numeri e dati”.
La ricerca di Gratacap si estende anche allo stile, scegliendo di stare in una terra di mezzo tra arte e fotogiornalismo, rimanendo sempre concentrato sull’analisi geopolitica delle migrazioni e delle sue conseguenze sull’economia e sulle persone. I suoi progetti sono ora al centro della mostra Invisibles al museo Foam di Amsterdam, che fino al 9 settembre propone un allestimento in cui l’approccio concettuale di Gratacap è analizzato attraverso foto, video e registrazioni audio.
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