Judith Joy Ross è una delle grandi ritrattiste della fotografia statunitense del novecento, ma il suo lavoro - una produzione di quasi quarant’anni - è stato sempre sottostimato e quindi meno conosciuto dal grande pubblico. I suoi colleghi però ne hanno sempre riconosciuto il valore, da Robert Adams a Paul Graham, che ha dichiarato: “Alcuni si comportano come se volessero fotografare case, alberi e rocce, ma quello che vorrebbero veramente è avere l’intraprendenza di cui è capace Judith Ross quando ritrae le persone”.
Ross nasce nel 1946 a Hazleton, in Pennsylvania. Comincia a fotografare dalla metà degli anni settanta e dal 1981 utilizza principalmente macchine di grande formato come la Deardoff, stampando personalmente i negativi a contatto diretto con la carta e con un viraggio all’oro, in modo da evitare contrasti troppo accentuati. La sua attenzione è rivolta ai luoghi della Pennsylvania in cui è cresciuta, come i diner, i parchi, le rive del fiume dove da bambina trascorreva le giornate con la sua famiglia. Ma all’interno di questi paesaggi urbani e rurali sono le persone comuni le vere protagoniste della sua opera, la classe media americana che vive al di fuori da qualsiasi situazione spettacolare.
Senza sfruttare i sentimentalismi o l’ironia, e senza giudicare, Ross riesce a entrare in contatto con i soggetti con una delicatezza estrema, in grado di raggiungere la complessità di ciò che ognuno di loro contiene al loro interno: l’innocenza, il coraggio, la paura, l’amarezza, il disincanto e la bellezza; stati d’animo che rivelano l’esperienza umana in tutta la sua fragilità.
L’opera della fotografa è raccontata da un libro pubblicato da Atelier Exb e da una mostra a Le Bal, a Parigi, fino al 18 settembre.
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