“Qual è l’edificio che ospita il più gran numero di sogni? La scuola? Il teatro? Il cinema? La biblioteca? (…) E se fosse il carcere?”. A partire da queste domande lo scrittore John Berger provava a riflettere sul carcere da una prospettiva diversa, quella dei detenuti. “Innanzi tutto, un carcere moderno è fondato su tutto un insieme di sogni: il sogno della giustizia civica, il sogno della riforma (…) E in più, c’è l’infinita successione dei sogni più esili. Il sogno del mare (…) Sogni di donne. Sogni di porte aperte. Sogni di sabato sera. Sogni furiosi di farla finita. Sogni della fine delle cazzate”
Le persone che finiscono in carcere non sono private solo della libertà, perdono anche la vista, l’olfatto e il tatto. La sensazione dell’acqua del mare sulla propria pelle, come scriveva Berger, la si può solo sognare, ma anche quella di un banale bicchiere di vetro sulle labbra è un miraggio, perché in prigione si può bere solo da quelli di carta o plastica. Stringere tra le braccia il proprio partner o un figlio diventa complicato, o proibitivo se si è rinchiusi in istituti lontani da casa. Scavalcare con lo sguardo mura alte anche dieci metri è impossibile, per cui a volte, e a lungo, non si riesce più a vedere che sbarre, cemento e filo spinato. Un albero, un balcone, un filo d’erba, una strada e perfino uno spicchio di cielo sono immagini a cui molti devono rinunciare.
Il Si Fest di Savignano sul Rubicone, festival di fotografia diretto da Alex Majoli, è partito da questo vuoto per provare a colmarlo, facendo lavorare insieme fotografi e detenuti. Sei persone rinchiuse nel carcere di Forlì hanno chiesto ad Arianna Arcara, Cristina De Middel, Lorenzo Vitturi e Marco Zanella di fotografare qualcosa per loro, e i quattro professionisti hanno lavorato settimane per farlo, viaggiando in Italia all’estero.
“Mamma ha sofferto tanto nella sua vita, ha lavorato molto per farmi studiare, per comprarmi vestiti buoni (…) Negli anni ho contribuito ad aumentare le sue preoccupazioni, a non farla stare bene”, ha scritto Denis ad Arianna Arcara. “Sarei davvero felice se tu potessi andare da lei e portarla in viaggio in giro per la Moldavia (…) Ma davvero puoi andare da mamma? (…) Mi piacerebbe anche avere una sua foto”. Arcara è partita per la Moldavia il 21 luglio e ci è rimasta dieci giorni. Ha incontrato la madre di Denis, con la quale ha viaggiato nel paese per vedere e fotografare i posti suggeriti dal figlio.
“La prima foto se puoi la fai dal balcone di casa, che si trova a San Vitaliano. Poi vai a Napoli, stazione Porta Garibaldi e prendi la Circumvesuviana per Sorrento e scendi alla fermata Meta. Poi un’altra foto vicino alla villa a Marigliano: tra la villa e la scuola entri in questa strada e vedi sulla tua sinistra la scritta che feci”, ha chiesto Vitaliy a Marco Zanella.
Il risultato di queste collaborazioni singolari è un tentativo di rendere meno brutale un luogo come il carcere, che fa di tutto per nascondersi alla vista di chi è fuori, e spende altrettante energie per privare della vista chi è dentro. La mostra si può visitare il 16, 17, 23 e 24 settembre.
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