Le elezioni legislative e amministrative che si sono tenute il 6 giugno in Messico, e in cui si è registrata una partecipazione del 52 per cento, hanno lanciato un messaggio che dev’essere ascoltato dal presidente Andrés Manuel López Obrador (centrosinistra). Lo scrutinio, che ha portato al rinnovo totale della camera dei deputati, di quindici governatori e di ventimila cariche pubbliche, è stato presentato fin dall’inizio dal presidente come un referendum sulla sua gestione e sul suo progetto di governo, la cosiddetta quarta trasformazione. López Obrador ha fatto di tutto per ottenere alla camera dei deputati una maggioranza che gli consentisse di riformare la costituzione. Ma le urne hanno messo un freno alla sua ambizione. Il Movimento di rigenerazione nazionale (Morena), il partito del presidente, aumenta il suo potere territoriale negli stati, ma perde decine di seggi alla camera e mantiene la maggioranza assoluta solo con l’aiuto degli alleati del Partito verde e del Partito del lavoro. Non è il fallimento che si augurava gran parte dell’opposizione, ma indica che a metà mandato López Obrador non può fare meglio di così ed è il momento di smorzare le tensioni.
Violenza elettorale
Con lo sguardo rivolto a queste elezioni, negli ultimi mesi il presidente ha aperto un fronte dopo l’altro: giudici, imprenditori, giornalisti, movimenti femministi, organizzazioni non governative e rivali politici sono stati criticati e intimiditi pubblicamente. Anche se l’obiettivo era rafforzare la sua popolarità, ha creato fratture profonde e pericolose nella società messicana. E ha fatto emergere anche la minaccia di un’involuzione su questioni delicatissime come l’energia e la giustizia, dove il presidente ha difeso soluzioni più adatte al secolo scorso che non al presente. Ora López Obrador deve governare nei limiti delle possibilità che gli sono state concesse: se vuole cambiare le istituzioni, dovrà cercare consenso, una cosa a cui finora si è mostrato allergico. Le elezioni hanno mostrato anche la debolezza dell’opposizione. Il Partito rivoluzionario istituzionale (Pri) e il Partito di azione nazionale (Pan) continuano a pagare il prezzo del loro abominevole passato e, anche se hanno preso più voti delle ultime volte, restano delle forze marginali in vista delle presidenziali del 2024. È un vuoto pericoloso per la stabilità politica del paese. Una destra senza leadership è un terreno fertile per gli avventurieri politici che negli ultimi tempi hanno causato tanti danni in America Latina.
Un capitolo a parte va dedicato all’aspetto più doloroso di queste elezioni. Con più di novanta politici uccisi e centinaia di attentati, la campagna elettorale è stata segnata da una drammatica escalation di violenza. Anche se le cause sono molte, la violenza non può essere slegata dall’incapacità del governo messicano di fermare le organizzazioni criminali più aggressive. Alcuni problemi richiedono l’intervento urgente del presidente. Il realismo deve tornare alla guida dello stato.
Ora che comincia la seconda parte del suo mandato e che il perimetro del suo potere è stato delimitato, López Obrador farebbe bene ad ascoltare i messicani e a costruire un paese in cui il dialogo abbia la meglio sugli insulti, gli accordi prevalgano sulle imposizioni e la legge sia più forte della criminalità. ◆ fr
◆Il giornalista e scrittore messicano Jorge Zepeda Patterson prima delle elezioni del 6 giugno aveva spiegato sul New York Times perché nonostante alcuni errori avrebbe votato ancora per il presidente Andrés Manuel López Obrador (lo considera la persona più indicata per dare rappresentanza al Messico rurale). Ora Patterson analizza su Milenio il risultato del voto. Il partito di governo, Morena, ha subìto una sconfitta pesante a Città del Messico, soprattutto nella zona occidentale, dove vive la classe media. A quanto pare, “alcuni settori della cultura, della scienza, dell’università, del mondo femminista e dei diritti umani, che prima sostenevano il progetto politico del presidente, gli hanno voltato le spalle”.
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Questo articolo è uscito sul numero 1413 di Internazionale, a pagina 28. Compra questo numero | Abbonati