In Iran la stampa conservatrice ha acclamato l’elezione di Ebrahim Raisi. Per il quotidiano Ressalat è “l’alba di una nuova era”. Il basso tasso di partecipazione è “accettabile e logico”, scrive il giornale ultraconservatore Javan, se si considera “il malcontento per la situazione economica e sanitaria”. Per Kayhan l’affluenza è addirittura “epica”, viste le difficoltà quotidiane degli elettori e la “propaganda nemica”. L’agenzia di stampa ufficiale Irna sottolinea che Raisi ha promesso di “fare tutto il possibile per risolvere i problemi del paese”.

I giornali riformatori invece hanno mantenuto un atteggiamento prudente, evitando le critiche e attenendosi ai fatti. “Buongiorno Ebrahim”, titola Aftab-e Yazd. Nessun titolo cita il record di astensionismo, mentre Arman-é Meli si rivolge ai vincitori in prima pagina: “A partire da oggi conquistate la fiducia del 70 per cento”, un riferimento agli iraniani che non hanno votato per Raisi o si sono astenuti. Nel sommario il quotidiano invita il nuovo presidente a tenere in considerazione i temi cari ai riformatori, come il salvataggio dell’accordo sul nucleare.

Le critiche più dure vengono dai mezzi d’informazione della diaspora iraniana. Iran Wire denuncia il “sordido passato” di Raisi, accusato di aver fatto parte della “commissione della morte” che nel 1988 ordinò l’esecuzione di migliaia di prigionieri politici. Il sito sottolinea che Raisi sarà il primo presidente iraniano a essere sottoposto alle sanzioni degli Stati Uniti e dell’Unione europea prima ancora di entrare in carica. Maziar Bahari, giornalista, regista e attivista iraniano, in passato incarcerato dal regime, scrive che “il mandato di Raisi come presidente, basandosi su decenni di abusi dei diritti umani nel settore giudiziario, avrà un effetto negativo su ogni aspetto della vita pubblica in Iran. I libri non saranno pubblicati, le voci delle donne saranno soffocate, le minoranze saranno perseguitate e le persone continueranno a essere torturate e uccise perché non si sono attenute all’oscura linea ufficiale della Repubblica islamica”. Per Bahari l’elezione di Raisi mette anche a nudo le divisioni “ormai forse inconciliabili” della società iraniana: “Decine di milioni di iraniani hanno deciso di boicottare il voto per apatia o disgusto”. Dall’altra parte però altre decine di milioni di persone “sono state genuinamente contente di partecipare alla farsa, o in qualche modo si sono sentite costrette a farlo”.

L’ultima parola

Sull’emittente Radio Farda, il ramo iraniano di Radio Free Europe/Radio Liberty, Golnaz Esfandiari conferma che l’ascesa al potere di Raisi “potrebbe comportare maggiori restrizioni politiche e sociali per gli iraniani, che già subiscono rigide limitazioni alle loro vite, compresa una forte censura su internet e fuori della rete”. La sua presidenza potrebbe anche “irrigidire l’atteggiamento di Teheran nei confronti dell’occidente”. Tuttavia, spiega Esfandiari, dato il bisogno di un allentamento delle sanzioni, è probabile che l’Iran rispetterà l’accordo sul nucleare del 2015 “se i colloqui in corso a Vienna produrranno un’intesa gradita al leader supremo Ali Khamenei, che ha l’ultima parola in Iran”.

Sul ruolo dell’ayatollah si concentra il commento di Mohammad Ali Shabani, direttore del sito Amwaj.media, sul Guardian. Per lui Raisi è “il successore ideale” di Ali Khamenei, che a 82 anni da tempo cercava un erede, un “lealista malleabile che possa emulare il suo percorso dalla presidenza al vertice” del potere nel paese. Con un’affluenza così bassa, però, il problema della legittimità perseguiterà il nuovo presidente, conclude Ali Shabani. ◆

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Questo articolo è uscito sul numero 1415 di Internazionale, a pagina 26. Compra questo numero | Abbonati