Vite di passaggio incarna una letteratura luminosa che innalza generosamente i lettori senza oscurare i conflitti. Sacha sta attraversando una crisi di mezza età. Scrittore parigino, scapolo senza figli, decide di cominciare una nuova vita trasferendosi in una piccola città nel sudest della Francia. Là incontra un amico della sua giovinezza, un uomo con un folle senso di libertà, la cui passione per la vita s’incarnava nella pratica frenetica dell’autostop in cui coinvolgeva Sacha, con la motivazione che l’amico doveva “vivere” prima di “scrivere”. L’uomo che Sacha ha sempre chiamato solo “l’autostoppista” ora ha una compagna ed è un padre realizzato. Ma continua a fare l’autostop e lascia regolarmente la famiglia per vivere nuove avventure e mantenere lo spazio necessario affinché la sua vita si apra a nuove possibilità. L’autostoppista ha raggiunto ciò che tutti sognano in segreto? L’autostop è una bella metafora dell’apertura agli altri e delle virtù dell’ospitalità, che il romanzo esplora in tutti gli aspetti.

Florence Bouchy,
Le Monde

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Questo articolo è uscito sul numero 1433 di Internazionale, a pagina 88. Compra questo numero | Abbonati