◆ Quest’estate la regione russa della Carelia è stata colpita da violenti incendi che hanno distrutto una parte consistente della taiga, o foresta boreale, formata da boschi di conifere. I roghi sono stati affrontati per lo più da volontari locali, con mezzi limitati, e non sono stati completamente domati: covano nel terreno, pronti a riesplodere in primavera. Le autorità tendono a lasciar bruciare le foreste, soprattutto se lontane da città e infrastrutture. La superficie distrutta è stata superiore a quella totale degli incendi registrati quest’estate in Europa e in Nordamerica. Eppure di questa catastrofe non si è parlato alla recente conferenza delle Nazioni Unite Cop26 a Glasgow, dove ci si è occupati invece di lotta alla deforestazione.
Secondo Grigorij Kuksin di Greenpeace, intervistato da Die Zeit, il 90 per cento degli incendi è legato all’attività umana. La frequenza dei roghi è molto più alta che in passato, spiega Ulrike Herzschuh dell’Alfred Wegener Institut di Potsdam, e il fenomeno tende ad autoalimentarsi: le fiamme riducono l’umidità della foresta aumentando la probabilità di nuovi roghi. Tutto questo potrebbe far scomparire la taiga nel giro di pochi anni: uno scenario inquietante, perché è uno dei principali depositi di carbonio del mondo, insieme alla foresta pluviale tropicale. Il carbonio è conservato nella vegetazione ma anche nel materiale organico delle zone umide, tra cui torbiere e paludi. E ripristinare una zona umida è molto più difficile che far ricrescere una foresta.
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Questo articolo è uscito sul numero 1437 di Internazionale, a pagina 111. Compra questo numero | Abbonati