“La vicenda Novak Djokovic (nella foto) è stata una sconfitta senza vincitori né vinti”, scrive l’epidemiologo Hassan Vally su The Age commentando quel che è successo al tennista serbo, arrivato in Australia per gli Open e fermato alla frontiera perché non vaccinato. La federazione australiana di tennis aveva concesso a Djokovic, che ha contratto il covid a dicembre, un’esenzione dall’obbligo vaccinale per partecipare al torneo, non valida però per entrare nel paese. Il tennista si è quindi rivolto a un tribunale, e in attesa del verdetto le autorità l’hanno portato in una struttura di detenzione per immigrati irregolari. Il 10 gennaio il tribunale ha dato ragione a Djokovic, ma Canberra potrebbe di nuovo cancellargli il visto. “La confusione e le frecciate reciproche tra il governo federale e quello dello stato di Victoria sono emblematiche della gestione della pandemia”, continua Vally. Ma, al di là del caos burocratico e delle questioni legali, dal punto di vista della salute pubblica è giusto permettere a Djokovic di partecipare al torneo? “Il rischio che il tennista possa infettare qualcuno è minimo, ma la questione è un’altra: è una persona contraria ai vaccini che sostiene teorie antiscientifiche sulla possibilità di proteggersi dal sars-cov-2 rafforzando il metabolismo. Cancellare il visto a un privilegiato che snobba la scienza e rifiuta il vaccino sarebbe stato un messaggio forte: le regole valgono per tutti e abbiamo imparato che proteggere la comunità implica dei sacrifici per i singoli”. ◆
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Questo articolo è uscito sul numero 1443 di Internazionale, a pagina 26. Compra questo numero | Abbonati