Segni è un progetto pedagogico e fotografico sulla violenza contro le donne, con lo scopo di sensibilizzare i giovani e dargli alcuni strumenti per prevenire il fenomeno. È incentrato su una mostra articolata in trentatré “quadri fotografici”.
Le fotografe Simona Ghizzoni e Ilaria Magliocchetti Lombi hanno trasformato le testimonianze di alcune donne vittime di violenza in immagini e testi che raccontano momenti di vita quotidiana.
Attraverso degli autoritratti Ghizzoni ha inscenato i racconti ascoltati. Magliocchetti Lombi si è invece soffermata sui luoghi, gli oggetti e gli spazi familiari dove la violenza è esplosa. Ogni scatto si concentra su particolari apparentemente trascurabili che si sono però rivelati indizi di comportamenti o dinamiche violente.
La fotografia, un linguaggio usato oggi da tutti e che invita a osservare con attenzione quello che ci circonda, aiuta a prendere consapevolezza di ciò che può succedere nell’intimità delle famiglie.
Segni, ideato dalla Consulta femminile del pontificio consiglio della cultura e realizzato in collaborazione con la fondazione Cortile dei gentili, è stato ospitato dalla scuola media Margherita di Navarra a Monreale e dal liceo scientifico Galileo Galilei di Palermo sotto forma di laboratori didattici per dare una chiave di lettura inedita sulla violenza di genere.
Nel 2021 in Italia sono stati registrati 102 omicidi di donne in ambito familiare o affettivo. In settanta di questi casi l’assassino è stato il partner o un ex partner. ◆
Valentina
Restavo sempre in casa: per quattro anni sono rimasta chiusa tra le mura domestiche. Lui non mi permetteva di andare da nessuna parte. Non potevo lavorare, non potevo avere amiche. Dovevo solo stare in casa e occuparmi dei bambini. Non potevo nemmeno fare la spesa. Gestiva tutto lui. Non potevo nemmeno oltrepassare il cortile. Litigavamo, altrimenti. E mi picchiava. Una volta era ubriaco. Ha afferrato un coltello, davanti ai bambini. In quel momento, ho detto basta. Ero di sua proprietà. Provavo a dirgli che era finita, ma le mie parole non contavano nulla. Mi seguiva ovunque, si appostava davanti al portone, a volte dormiva in macchina, di fronte a casa. Senza farmi vedere, salivo sulla scala per andare sul tetto e controllare che lui non fosse davanti alla porta. Anche dopo che l’ho lasciato, mi chiamava in continuazione, non voleva che uscissi di casa. Non potevo nemmeno portare i bambini a festeggiare il carnevale. Mi chiamava in continuazione anche quando ero al lavoro. Mi minacciava, diceva che avevo abbandonato i miei figli. Avevo trovato un impiego come badante: un giorno, ero al mare con la signora per cui lavoravo e la figlia, e loro hanno intuito che qualcosa nella mia vita non andava. Mi hanno incoraggiato a uscire da quella situazione. Abbiamo chiamato il centro antiviolenza insieme. Quando oggi penso al mare, penso che cura ogni cosa, cura l’anima.
Valentina è nata nel 1990. Ha incontrato il suo partner quando aveva vent’anni. All’epoca non lavorava. I due sono andati a convivere e hanno avuto due bambini. Il percorso di Valentina al centro antiviolenza è durato un anno e al momento non ha una relazione amorosa.
Lucilla
Mi sono trasferita nel Lazio lasciando la mia famiglia di origine nel nord. Non conoscevo nessuno. Ho sempre lavorato, ma non ho mai potuto utilizzare il denaro che guadagnavo. Quando cominciai a ricevere il sussidio statale, lui prese il mio bancomat. Ora, a causa sua, sono piena di debiti. Avevo completamente affidato la guida della mia vita a lui. Non è successo subito, gradualmente mi ha tolto la fiducia in me. Mi diceva che non ero nemmeno capace di apparecchiare la tavola. A un certo punto ho iniziato ad avere paura. Ho provato a chiedere aiuto alla mia famiglia, ma aveva seminato terrore in chiunque mi fosse vicino. Quando ho trovato il coraggio di dire basta ho visto la vita con altri occhi, come se si fosse aperto un sipario. Prima di quel giorno, ho fatto e disfatto la valigia molte volte. Sono scappata e tornata. Nonostante le botte, andavo a lavorare tutti i giorni per poter mettere da parte del denaro. Poi sono andata dalla polizia e mi hanno dato un elenco delle cose essenziali da portare. Una mattina, all’alba, quando è uscito per andare al lavoro, sono scappata. Ho dovuto lasciarmi molte cose alle spalle. Mio padre era un uomo tradizionale, mi ripeteva che dovevo sposarmi, non sarei valsa nulla altrimenti. E quando ti dicono così per tutta la vita, alla fine te ne convinci anche tu. E invece no, io non sono la mezza mela di nessuno. Io sono la mela. Non ho mai potuto andare al mare da sola con i miei figli. Adesso sì, lo posso fare, so di poterlo fare.
Lucilla è nata nel 1965. Ha incontrato il suo partner a quarant’anni e hanno avuto tre bambini. Il percorso di Lucilla al centro antiviolenza è durato due anni e al momento non ha una relazione amorosa, ma vive autonomamente con sua figlia.
Sara
Quando ho lasciato la casa dove abitavo con lui e i miei figli – nel giorno deciso con il centro antiviolenza e gli assistenti sociali – non mi sono voltata. Gli ultimi cinque anni erano stati un inferno. Volevo solo iniziare una vita nuova. Quando mi hanno dato le chiavi della nuova casa non ho cambiato il portachiavi. Amo lo spazio, la libertà e i fiori. In loro ho sempre visto e cercato l’anima libera che non c’era in me. L’amore violento non è normale. Prima uscire era una sofferenza, come se lui fosse sempre incollato a me. Quando uscivo ricevevo centinaia di sue telefonate. Ero da sola, ma non ero libera di sentirmi sola. Passeggio spesso senza meta. Le passeggiate sono il simbolo della libertà per me. Adesso mi sento di poter fare qualsiasi cosa. Un giorno mia figlia mi ha detto: ‘ti sembra giusto che anche Christian cresca così?’. In quel momento ho capito che lei era cresciuta e ho iniziato a pensare anche a me e al piccolo. Mi sono rivolta ai servizi sociali, per andarmene avevo bisogno di un aiuto economico. Se potessi tornare indietro, alla me di allora direi che raggiungere l’indipendenza, anche economica, è la base di tutto. Ero costretta a nascondere i soldi ovunque. Ricordo che lui apriva la mia borsa in continuazione, cercava in ogni tasca. Ha sperperato tutto. Da quando siamo in casa rifugio Christian sta migliorando tanto: è molto più socievole e allegro, per strada si mette a ballare e a cantare. Prima era chiuso, non parlava, non salutava, non guardava le persone negli occhi, non dava fiducia. Ora abbraccia le operatrici. I miei bambini, qui, sono nati per la seconda volta. Prima vivevo in costante tensione. Lui era molto geloso e possessivo, anche di mio fratello, non voleva che andassi al lavoro. Stavo attenta al linguaggio e ai movimenti perché bastava pochissimo per farlo esplodere. Dopo la sentenza del giudice mi sono sentita svenire. Era il peso che per tutti questi anni ho portato addosso. Oggi sono rinata in tutti i sensi.
Sara è nata nel 1981. Ha incontrato suo marito quando aveva diciannove anni. All’epoca lavorava. I due si sono sposati e hanno avuto due bambini. Si sta separando dal marito. Il suo percorso al centro antiviolenza è ancora in corso.
Anna
Mi ha vista per strada e si è fatto dare il mio numero. Era un corteggiatore insistente. Ne ero lusingata. Non mi sono mai confidata con i miei genitori, avevamo un rapporto difficile. Mi controllavano: volevano decidere come mi dovevo vestire, chi dovevo vedere. A volte, mi facevano paura. Quando mia madre mi ha cacciata, mi sono trasferita da lui. Abitava con i suoi genitori. Tutti si aspettavano che io facessi i lavori di casa. Venivo aggredita e accusata di non occuparmi abbastanza delle faccende domestiche. Lui spesso usciva la notte e pretendeva che io tenessi il telefono acceso per potermi chiamare a qualsiasi ora. Era l’anno della mia maturità. Tutte le volte che cercavo di allontanarmi lui diventava molto aggressivo. Una volta davanti a un bar, mi ha presa per i capelli trascinandomi in macchina. Avevo la sensazione di essere sempre controllata, sempre pedinata. Quando l’ho lasciato, ho trovato la mia macchina in fiamme.
Anna è nata nel 2001. Ha incontrato il suo partner quando aveva 19 anni. All’epoca lavorava. Non ha avuto figli. Ha lasciato il centro antiviolenza dopo quattro mesi. Voleva fare uno stage e trasferirsi altrove.
◆ Segni è in corso al museo di palazzo Braschi a Roma fino al 13 marzo. La mostra, gratuita, è promossa da Roma culture e dalla sovrintendenza capitolina ai beni culturali. È ideata dalla Consulta femminile del pontificio consiglio della cultura e realizzata con la fondazione Cortile dei gentili, in collaborazione con il centro antiviolenza Lilith di Latina e con il contributo dell’università Lumsa e di Zètema, azienda del comune di Roma. Le curatrici sono Consuelo Corradi e Alessandra Mauro.
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Questo articolo è uscito sul numero 1443 di Internazionale, a pagina 62. Compra questo numero | Abbonati