Non è virtuosistico come Smetana, non è emozionante come Chopin, non è toccante come Grieg: anche se ci offre un’inesauribile vena melodica e qualche capolavoro, l’opera per piano solo di Antonín Dvořák non è certo la parte più importante del corpus del compositore boemo che, ottimo violinista, violista e organista, era un pianista di livello mediocre. Qui però Ivo Kahánek non scivola mai nella routine e sfoggia sempre uno charme all’altezza del grande Rudolf Firkušný, che di Dvořák ci ha lasciato qualche registrazione sparsa. Mette sensibilità, personalità e immaginazione in ogni piccolo pezzo, e lascia che ogni momento di queste cinque ore di musica porti con sé il suo sottile profumo slavo.

Nicolas Derny,
Diapason

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Questo articolo è uscito sul numero 1445 di Internazionale, a pagina 86. Compra questo numero | Abbonati