Durante la pandemia i rider sono diventati centrali nelle nostre vite, eppure sono quasi invisibili. Quindi è giusto che un rider si trovi a essere il protagonista di un romanzo. Quando avrete finito The delivery non penserete più a queste persone nello stesso modo. Il romanzo ci porta nel mondo di un corriere in bicicletta senza nome: “il fattorino”. Il primo capitolo dice semplicemente: “Consegna 1”, seguito da due stelle. I successivi si leggono come un diario di bordo; il sesto è una piccola poesia. A poco a poco, ci ritroviamo nel mondo interiore del fattorino. È in sintonia con i ritmi della città, usando una sorta di frequenza telepatica con il traffico, i pedoni e i clienti. Capisce come si muovono e si muove di conseguenza. Sa istintivamente quali clienti daranno la mancia e quali no. Ma non coglie lo scopo più profondo della città o i motivi e gli obiettivi dei suoi abitanti. Apprendiamo che il ragazzo delle consegne parla diverse lingue, ma non quella di questa particolare città. Ora vive in un magazzino, dov’è sfruttato dal suo supervisore, mentre nel suo paese d’origine faceva parte di un’orchestra. All’inizio questa struttura può confondere, ma ci spinge a sentire che la coscienza qui è stratificata: una realtà sopra l’altra. C’è la vita della città; poi il fattorino che pedala da una commissione all’altra; poi il suo mondo interiore; e infine, sovrapposte a tutto, le riflessioni del narratore. Come una sinfonia.
Amanda Holmes Duffy,
Washington Independent Review of Books
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Questo articolo è uscito sul numero 1445 di Internazionale, a pagina 80. Compra questo numero | Abbonati