Nala Sinephro è seduta in un caffè del nord di Londra e versa acqua calda nella teiera. Mentre la sua voce sommessa viene quasi coperta dalla musica pop del bar, irradia un’energia meditativa. “Nella mia testa sono davvero rumorosa”, dice sorridendo. Una pianta d’appartamento fa capolino sopra la sua spalla, come se si stesse allungando per ascoltare. Quelle foglie le ricordano le zie dal pollice verde in Martinica, che dispensavano saggezze botaniche ogni volta che la sua famiglia visitava l’isola caraibica per Natale. L’arpista belga ha trascorso l’infanzia alla periferia di Bruxelles, in una casa abbandonata ristrutturata dalla mamma, insegnante di pianoforte, e dal papà, sassofonista jazz. Questa ricerca costante della tranquillità può sembrare paradossale se si ascolta la sua musica, ma il paradosso si adatta a questa enigmatica venticinquenne, sospesa tra due anime apparentemente inconciliabili: la saggezza riflessiva e la furiosa iconoclastia. Entrambe animano il suo affascinante album di debutto, Space 1.8, uscito nel 2021, che mette il rigore del jazz di fronte al misticismo. Il fascino della natura è la pietra angolare della filosofia artistica di Sinephro. Durante la pandemia è tornata in Martinica per inseguire un uccello di montagna nei boschi tropicali. Armata di cuffie e registratore, ha catturato il suo canto. Ha intenzione di affiancare a quelle registrazioni dei sintetizzatori per un nuovo progetto. Per quello tornerà presto sull’isola.
Jazz Monroe, Pitchfork
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Questo articolo è uscito sul numero 1445 di Internazionale, a pagina 86. Compra questo numero | Abbonati