L’omonimo album delle britanniche Wet Leg è il debutto più seducente e divertente degli ultimi tempi. Un lavoro che vede questo duo dell’isola di Wight esattamente nel pieno dei suoi vent’anni, tra la falsa quiete post diploma, il sesso noioso, ex da dimenticare e le assillanti questioni sull’autostima. In un disco orecchiabile e pop, le Wet Leg infilano perfino qualche idea più audace, come il riff di The man who sold the world di David Bowie o una citazione dal film Mean girls. Brani come Chaise longue segnano il colpo, e restano irriverenti e irresistibili anche dopo il primo ascolto. Le Wet Leg sono state associate, un po’ pigramente, agli Yard Act, ma nel complesso hanno più cose in comune con Jarvis Cocker e i Franz Ferdinand, posizionandosi in quella zona di art pop britannico che riprende vecchie idee con una prospettiva nuova. In effetti, il momento clou dell’album, Angelica, non è affatto una canzone post-punk: il riff di chitarra accenna al vibrante psych-pop del 1967, mentre la voce potrebbe stare su 45 giri della Sarah Records. È curioso come il gruppo sia stato nel mirino dei detrattori su TikTok – il paradiso dei cinici e dei troll – che l’hanno definito un prodotto commerciale, un’interpretazione che comincia a intravedersi anche nella stampa musicale. Online vengono giudicate perché si vestono troppo bene, come se fosse un difetto. Certo, la loro ascesa è stata improvvisa, ma ad alcuni artisti questo succede semplicemente perché sono bravi. Quindi, mettete da parte il vostro cinismo e godetevi i fuochi d’artificio: Wet Leg è un esordio eccezionale.
Robin Murray, Clash
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Questo articolo è uscito sul numero 1456 di Internazionale, a pagina 88. Compra questo numero | Abbonati