Mi ricordo di un recital in cui Grigorij Sokolov aveva eseguito tre sonate di Haydn senza soluzione di continuità, lasciando il pubblico tramortito. Su disco il problema è risolto: possiamo fermarci, riprendere fiato e ammirare meglio l’eleganza del tocco e la padronanza delle sfumature. Abbiamo sentito raramente splendere così il pianoforte di Haydn, raffinato e luminoso. Questo approccio furiosamente e maniacalmente pianistico è decisamente più discutibile in Schubert. Espanso fino a durare più di 13 minuti, il primo degli improvvisi D 935 è scrutato come se fosse in un caleidoscopio; i ritmi bizzarri del secondo sfiorano il manierismo; e il terzo, agghindatissimo, si trascina faticosamente. Non c’è nessuna spontaneità: Sokolov calibra, soppesa, gestisce con precisione millimetrica ogni dettaglio fino all’ultimo istante. Dei sei bis di questa serata del 2018 al castello di Eistenstadt ricorderemo il valzer di Aleksandr Griboedov (1795-1829), che era soprattutto un diplomatico e un drammaturgo, e di cui ci sono rimaste solo due partiture. È una scoperta da portare a credito di questo album, tanto pianisticamente sontuoso quanto musicalmente sconcertante.
Bertrand Boissard,
Diapason
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Questo articolo è uscito sul numero 1460 di Internazionale, a pagina 100. Compra questo numero | Abbonati