Fabrice Du Welz ha qualche potere magico se in poche inquadrature riesce a risucchiare lo spettatore nel mondo solitario e magico di un ragazzo che sta per entrare nell’adolescenza. Paul (Thomas Gioria) vive con sua madre nella clinica psichiatrica in cui lei lavora. Il ragazzo vaga nei boschi che circondano l’istituto. Siamo in Belgio ma potremmo essere in una foresta vergine, come quelle immaginate dal doganiere Rousseau. Questa rappresentazione concreta della vegetazione seduce lo spettatore facendolo entrare in una specie di nuvola umida. Al suo interno c’imbattiamo in una storia che ha l’aria di una fiaba ma la sostanza di un film noir. Una combinazione non nuova. All’istituto, di cui non sappiamo granché, arriva Gloria (Fantine Harduin), che ha l’età di Paul e che tenta in tutti i modi di scappare. Anche se tutti dicono che la ragazza è pericolosa, Paul si fa convincere e insieme si lanciano in una fuga che mette a dura prova i nervi e la fiducia del pubblico. Tuttavia Du Welz, che ha anche sceneggiato il film, esce rapidamente da questa zona incerta per abbracciare la pista della femme fatale, in questo caso però più un cliché che il mito a cui si sono inchinati personaggi come Sam Spade o Philip Marlowe.
Thomas Sotinel, Le Monde
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Questo articolo è uscito sul numero 1461 di Internazionale, a pagina 88. Compra questo numero | Abbonati