La musica di Pierre Kwenders è sempre stata molto personale. Nei suoi due primi dischi – Le dernier empereur bantou del 2014 e MAKANDA at the end of space, the beginning of time del 2017 – Kwenders canta di temi come la famiglia, i sogni e l’amore. Eppure l’artista nato a Kinshasa, nella Repubblica Democratica del Congo, e residente a Montréal, in Canada, ha sempre mantenuto una certa distanza tra la sua vita e il suo personaggio sul palco, scegliendo di esibirsi sotto uno pseudonimo preso in prestito dal suo defunto nonno. José Louis and the paradox of Love, il terzo album, offusca quei confini. Il titolo fa riferimento al suo vero nome. “Dall’ultimo album ho imparato molte cose su di me e molte cose sui rapporti che avevo con gli amici e la famiglia. Quindi volevo solo essere il più vulnerabile possibile”, dice Kwenders. Anche se canta in francese, inglese e lingua africane come lingala, luba e kongo, la musica di Kwenders è appassionante e seducente, a prescindere dal fatto che si capiscano i testi o no. José Louis è anche un album ballabile, che mette in mostra l’abilità di Kwenders come dj. Nel primo brano del disco, L.E.S. (Liberté égalité sagacité), è ospite Win Butler degli Arcade Fire, mentre in Church è presente l’Africa Intshiyetu Choir, lo stesso coro della chiesa che ha aperto le porte alla carriera musicale di Kwenders quando si è trasferito a Montréal da Kinshasa a sedici anni. “Sono arrivato qui grazie a loro”, dice.
M.I. de Fazio, Bandcamp
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Questo articolo è uscito sul numero 1461 di Internazionale, a pagina 96. Compra questo numero | Abbonati