Dalla metà di maggio è cominciata l’espulsione degli abitanti di Masafer Yatta, una zona a sud di Hebron, in Cisgiordania, dove più di mille palestinesi vivono in otto villaggi. Decine di abitazioni e altre strutture sono state demolite ad Al Majaz e Khribet al Fakhiet. Secondo gli attivisti per i diritti umani è l’inizio di quella che probabilmente sarà la più grande espulsione di massa di palestinesi dalla guerra del 1967, quando centinaia di migliaia di persone furono cacciate dalle loro terre occupate da Israele. Il sito palestinese Arabi48 ricorda che, dopo una battaglia legale ventennale, il 4 maggio la corte suprema israeliana ha respinto una petizione per fermare lo sgombero di Masafer Yatta, che è stata destinata agli addestramenti militari. Per il Washington Post le demolizioni sono un motivo di preoccupazione per gli Stati Uniti, in previsione della visita del presidente Joe Biden in Israele a giugno. Il momento è delicato anche per l’approvazione, il 12 maggio, di 4.200 nuovi alloggi nelle colonie israeliane in Cisgiordania e per il clima d’instabilità politica. Il 22 maggio la deputata araba Ghaida Rinawie Zoabi, del partito di sinistra Meretz, è tornata sulla decisione di uscire dalla coalizione guidata dal premier Naftali Bennett. La decisione annunciata tre giorni prima voleva essere una protesta contro l’atteggiamento del governo verso gli arabi israeliani.
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Questo articolo è uscito sul numero 1462 di Internazionale, a pagina 28. Compra questo numero | Abbonati