Confinata in un letto d’ospedale, con il suo corpo di ottantaseienne che si sta spegnendo e la mente che va in frantumi, Francie chiede a un’infermiera di portarle un romanzo contemporaneo. L’infermiera torna con Il teatro di Sabbath, l’opera sessualmente esplicita di Philip Roth su un viscido anziano suicida. È solo una delle tante umiliazioni subite dalla povera Francie nel romanzo dell’australiano Richard Flanagan. Sopravvissuta al cancro e all’idrocefalo, Francie è di nuovo in ospedale quando si apre il romanzo. Le sue condizioni peggiorano dopo una caduta e un’emorragia cerebrale. Mentre il declino di Francie accelera, i suoi tre figli diventano sempre più determinati a tenerla in vita, con la complicità di un sistema sanitario che, secondo Flanagan, è più interessato al proprio bene che a quello dei pazienti. Ma questa non è la storia di Francie. È la storia di Anna, la primogenita, la narcisista della famiglia. Anna inizialmente desidera che Francie muoia per porre fine al suo dolore. Ma poi interviene il suo ego, e decide che la madre deve vivere. Da lì, le giustificazioni di Anna per il tormento di Francie si accumulano come tante fatture mediche.
Jake Cline, The Washington Post

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Questo articolo è uscito sul numero 1462 di Internazionale, a pagina 92. Compra questo numero | Abbonati