La storia del Giappone dagli albori del novecento a oggi è una storia di migrazione dalla campagna alla città. I centri urbani si sono espansi mentre i villaggi rurali si sono ingrigiti, diventando ombre silenziose di se stessi. L’urbanizzazione porta all’alienazione. Non è un’idea nuova. Ma Tomoka Shibasaki, raccontando la storia di un ventenne isolato e depresso a Tokyo, si muove con una delicatezza tutta sua, un passo leggero da cui molti potrebbero imparare. Il libro è incentrato su un condominio di Tokyo destinato alla demolizione. Taro, divorziato da poco, è il nostro protagonista smarrito, un uomo che vive da solo, parla con poche persone e porta avanti con il pilota automatico il suo lavoro in una società di pubbliche relazioni. È depresso ma non ne riconosce i sintomi. Shibasaki mette in scena echi e riflessi del suo stato d’animo. La sua solitudine si riflette negli appartamenti vuoti e nei quartieri fatiscenti che attraversa per andare al lavoro. Shibasaki usa gli strati della vecchia Tokyo sotto i suoi piedi e gli incessanti lavori di costruzione – scavare, portare alla luce, seppellire – per fare un parallelo con il viaggio psicologico di Taro. Ogni appartamento del condominio di Taro porta il nome di un animale dello zodiaco giapponese, ma l’edificio si sta svuotando in vista della prossima demolizione. I dodici segni rappresentano un ciclo di anni, ma quando le persone se ne vanno per non essere più sostituite, il ciclo si interrompe. Sembra che tutto stia per finire: le strade sono piene di lavori stradali, le linee ferroviarie sono in costruzione, viene perfino dissotterrata una bomba inesplosa della guerra. Taro è uno degli ultimi residenti, insieme a due donne: la fumettista Nishi e l’anziana signora Snake. In tre anni di vita nell’edificio non ha mai parlato con nessun vicino, ma l’avvicinarsi della scadenza funge da catalizzatore, spingendoli a creare una microcomunità improvvisata. È una commovente ironia che la loro solitudine urbana si plachi solo quando quasi tutti se ne sono andati. Giardino di primavera si tinge di nostalgia, di ricordi di vacanze infantili e di dolore. Una sublime novella di spaesamento e rimpianto.
Iain Maloney,
The Japan Times
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Questo articolo è uscito sul numero 1462 di Internazionale, a pagina 92. Compra questo numero | Abbonati