La musica di Salar Salman è ricca di sapori. Cresciuto nel nord dell’Iraq, il cantautore e chitarrista curdo ha avuto innumerevoli fonti d’ispirazione, dal flamenco di Paco Peña all’elegante rock di Mark Knopfler. Quando all’inizio degli anni ottanta si trasferì ad Amsterdam formò un gruppo con un pianista olandese, un bassista marocchino, un oboista spagnolo e un batterista del Suriname, che avrebbero tutti contribuito ad arricchire le sue malinconiche ballate e i vivaci pezzi strumentali. Ma il cuore della musica è rimasto uno solo: il Kurdistan. Questo è evidente già in Mam Lalo, il primo, ipnotico pezzo della nuova antologia di Salman appena pubblicata dall’etichetta olandese Afrobotic Musicology. La drum machine e i sintetizzatori ricordano il pop mediorientale degli anni ottanta, ma il testo, cantato in curdo, va più in profondità. È la storia di un giovane pastore di montagna che si rivolge a un vecchio saggio dopo che i lupi gli hanno sbranato tutte le pecore. Come molte delle sue canzoni, è una metafora. “Non parlo di pecore”, dice il cantante, 63 anni, “parlo della cultura curda. È in pezzi”. Se non avevate mai sentito parlare di Salman, non è strano: è il suo primo disco a ricevere una distribuzione internazionale. Sette pezzi su otto vengono da una cassetta degli anni ottanta, ritrovata per caso dalla figlia, Shirin Mirachor, in un vecchio armadio: “Secondo me mio padre non sapeva neanche di averla”.
Peter Hoslin,
Bandcamp Daily

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Questo articolo è uscito sul numero 1464 di Internazionale, a pagina 98. Compra questo numero | Abbonati