L’ultimo romanzo della colombiana Pilar Quintana è un’opera precisa, affilata come un coltello, calata in un ambiente selvaggio e feroce che incrudelisce i suoi personaggi. Damaris ha vissuto tutta la sua vita tra il mare e la giungla, abbronzata dalla morte che le alita sempre sul collo, con Rogelio e i cani come unica compagnia. La comunicazione tra i diversi personaggi sembra irrimediabilmente interrotta. Narrata in terza persona, la storia comincia con un dialogo in cui una delle tante cagne avvelenate sulla spiaggia lascia una cucciolata di orfani. Doña Elodia nutre i cuccioli con una siringa, mentre si lamenta del destino degli animali. D’impulso, Damaris decide di portare con sé una cucciola: la cagna che dà il titolo al romanzo e che lei chiamerà Chirli, come avrebbe chiamato un’ipotetica figlia. Damaris nutre l’animaletto con un contagocce, come se fosse un neonato, lo nasconde nel suo seno voluttuoso per tenerlo al caldo, lo consola nelle notti di tempesta e gli riserva le migliori parti del pollo. Ma anche se la coccola, la cagna cresce e l’animalità di un rapporto che all’inizio è fatto di tenerezza, compassione e generosità si trasforma in furia cieca quando la vede tornare tutta puzzolente dopo giorni passati nella giungla o quando, in due occasioni, Chirli arriva incinta. Questo fattore trasforma l’animalità da istinto materno a istinto omicida, definendone l’esito. La cagna ci porta in una relazione che a un certo punto sembra la promessa di riscatto per una donna sconfitta, ma che alla fine ci risveglia con un ultimo colpo di realtà, onesto e doloroso.
Melba Escobar, El Tiempo
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Questo articolo è uscito sul numero 1464 di Internazionale, a pagina 92. Compra questo numero | Abbonati