L’importanza dei mezzi di comunicazione, la loro velocità sempre maggiore e i loro effetti attraverso i social network, ci spingono spesso a credere, di solito per ignoranza, che molti movimenti siano invenzioni recenti. Succede, per esempio, con le lotte femministe, che malgrado una storia ben documentata – dall’impegno delle suffragette per ottenere il diritto di voto alle grandi mobilitazioni di mezzo secolo fa per la legalizzazione dell’aborto – restano relativamente poco note in alcuni paesi.

Negli anni settanta il femminismo ha creato un’estetica su cui vale la pena soffermarsi. È quello che fa un’importante mostra dell’edizione 2022 del festival Le rencontres de la photographie di Arles, in Francia. La mostra è al tempo stesso una conferma e una felice scoperta. Il progetto proviene dall’Austria, paese che all’epoca aveva dato vita al movimento radicale dell’azionismo viennese, inventando la performance, usando la violenza talvolta estrema e facendo ricorso alla fotografia – oggi da collezione – come traccia e ricordo di momenti di grande intensità fisica. Il ricco materiale della collezione Verbund presentato dalla sua direttrice Gabriele Schor riunisce circa sessantaquattro artiste di questa avanguardia femminista degli anni settanta. Alcune sono famose come Cindy Sherman, di cui si dimenticano un po’ troppo facilmente le prime opere realizzate da giovane, altre sono molto conosciute, come Annette Messager, Orlan, Francesca Woodman, Valie Export o Helena Almeida, e certe sono quasi sconosciute e la loro scoperta è indubbiamente una delle belle sorprese della mostra e del ricco catalogo che l’accompagna.

Hochhaus (palazzo) nr. 1, 1974, Renate Eisenegger (© renate eisenegger, collezione Verbund, Vienna)

Per chiunque pensi che gli artisti importanti siano quelli che hanno saputo trovare al momento giusto la forma adatta per porre delle domande pertinenti, questo insieme di foto è una perfetta dimostrazione di quello che può significare l’impegno anche in termini artistici. È inoltre una conferma del fatto che si tende a sottovalutare l’importanza e il ruolo delle donne nell’arte come in altri settori della società. Ne siamo consapevoli da anni, come dimostrano le molte mostre che cercano di riequilibrare questa situazione.

Hochhaus (palazzo) nr. 1, 1974, Renate Eisenegger (© renate eisenegger, collezione Verbund, Vienna)

Casalinga/madre/moglie; Chiusura/emancipazione; Imposizione della bellezza/corpo femminile; Sessualità femminile; Identità/gioco di ruolo. Le sezioni sono chiare ed esplicite, e contengono degli interrogativi precisi, quelli che, attraverso modalità diverse, le artiste pongono nel corso di tutto il percorso espositivo. La messa in scena è sempre presente e gli autoritratti molto frequenti. Le autrici sono coinvolte direttamente e rivendicano pienamente le loro posizioni. Camuffamenti, sequenze, simulazioni di mutilazioni, imbruttimenti parodistici: le proposte sono molto diverse e l’intento è parlare della donna e delle sue rappresentazioni, che rispecchiano ovviamente il suo status sociale.

Hochhaus (palazzo) nr. 1, 1974, Renate Eisenegger (© renate eisenegger, collezione Verbund, Vienna)

Ritratto centrale

Al centro del progetto c’è il corpo femminile, il modo in cui è rappresentato e il significato che assume dal punto di vista sociale e politico. Mentre il nudo femminile sia in fotografia sia in pittura è stato usato soprattutto dagli uomini, qui il punto di vista sul corpo e sul suo status è delle donne. “Cosa caratterizza l’avanguardia? Ebbene, per la prima volta nella storia, queste artiste hanno elaborato un’immagine della donna interamente basata su una prospettiva femminile”, afferma la curatrice della mostra.

Nel percorso espositivo il ritratto occupa un posto centrale, e pone domande sull’identità, il concetto di bellezza e le convenzioni che vi sono collegate, oppure denuncia in serie fotografiche a carattere simbolico l’impossibilità della parola, dell’espressione e dell’esistenza stessa. Tra rabbia e provocazione, grido e sfida, questi volti rivendicano una presenza della donna che prima non esisteva.

Vernähungen (cucitura), 1978, Veronika Dreier (© Veronika Dreier, collezione Verbund, Vienna)

Il sesso degli artisti

Come sappiamo queste lotte non nascono oggi, ma hanno una storia cominciata mezzo secolo fa, da cui sono nate opere che hanno aperto la strada a molte altre proposte. Riconsiderare i progetti contemporanei alla luce del lavoro delle artiste degli anni settanta relativizza alcune posizioni, e permette di capire meglio e apprezzare molte creazioni di oggi. Si è sempre più forti quando si conosce e si rivendica la storia, sia la nostra sia quella delle proposte che ci hanno formato. In questo caso l’originalità della mostra deriva dal fatto che non si tratta di una storia del femminismo negli anni settanta, ma di un’analisi sull’importanza dell’avanguardia nello sviluppo del movimento femminista e sul suo contributo alle lotte sociali, all’estetica e alle modalità d’espressione.

Vernähungen (cucitura), 1978, Veronika Dreier (© Veronika Dreier, collezione Verbund, Vienna)

Segno dei tempi, la mostra non è solo caratterizzata da testimonianze dolorose e talvolta sconvolgenti, ma anche da una vena provocatrice e un umorismo spesso amaro e pungente, perfettamente in sintonia con un’epoca che aveva sviluppato – come aveva indicato Marcel Duchamp – un rifiuto della sacralizzazione dell’artista e una rivendicazione del diritto all’insolenza. Come si può vedere nelle scene esilaranti e a volte sarcastiche sulla cucina, la maternità e su tutti i lavori casalinghi. Ma ci sono anche sequenze tese, provocatrici e dolorose in cui il corpo è di volta in volta smembrato, tagliato, minacciato o addirittura cancellato.

Vernähungen (cucitura), 1978, Veronika Dreier (© Veronika Dreier, collezione Verbund, Vienna)

Oggi possiamo forse rimpiangere questo periodo di libertà profonda che, anche se impegnato in lotte fondamentali, cadeva raramente in quella forma di neoconvenzionalismo che talvolta oggi ci affligge. Ma forse, anzi certamente, non viviamo più in tempi di avanguardie.

Vernähungen (cucitura), 1978, Veronika Dreier (© Veronika Dreier, collezione Verbund, Vienna)

Concludiamo con le parole di Lucy R. Lippard citata nell’introduzione del libro: “È evidente che l’arte non ha sesso. Ma gli artisti, donne o uomini, ne hanno uno”. Parole ineccepibili, lucide e sempre at­tuali. ◆adr

Die Geburtenmadonna (la madonna della natività), 1976, Valie Export (© Lili Dujourie, per gentile concessione di Michael Janssen, Berlin/collezione Verbund, Vienna)
Senza titolo, 1977, Lili Dujourie (© Valie Export, Adagp, Paris, 2022/collezione Verbund, Vienna)
Face (viso), Providence, Rhode Island, 1975-1976/1997-1999, Francesca Woodman (© The Woodman Family Foundation, New York/Artists Right Society, ARS)
Consumer art, 1972-1975, Natalia LL (© Natalia LL, per gentile concessione di Lokal_30, Warsaw/collezione Verbund, Vienna)
Consumer art, 1972-1975, Natalia LL
A portfolio of models (un portfolio di modelle), 1974/2009, Martha Wilson
A portfolio of models (un portfolio di modelle), 1974/2009, Martha Wilson (© Martha Wilson, per gentile concessione di P•P•O•W Gallery, New York/collezione Verbund, Vienna)
Da sapere
Il festival

◆ La mostra Une avant-garde féministe – photographies et performances des années 1970 de la collection Verbund è esposta nell’ambito delle Rencontres de la photographie ad Arles, in Francia, alla Mécanique générale, dal 4 luglio al 25 settembre 2022. Le foto sono raccolte in un libro con lo stesso titolo edito da Delpire&Co (495 foto, 472 pagine). Quest’anno il festival di Arles propone più di quaranta mostre con i lavori di 160 artisti.


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Questo articolo è uscito sul numero 1467 di Internazionale, a pagina 76. Compra questo numero | Abbonati