L’Estonia, che ha 1,2 milioni di abitanti e la superficie della Svizzera, trema dal 24 febbraio, scrive Le Monde. Dopo essere stata occupata dall’Unione Sovietica per cinquant’anni, dal 1991 fa di tutto per tagliare i legami con il grande vicino russo. È entrata nell’Unione europea e nella Nato, e nel 2011 ha adottato l’euro. Inoltre evita accuratamente quello che in teoria sarebbe un ricco mercato da 140 milioni di abitanti alle sue porte: solo il 2 per cento delle sue esportazioni va in Russia. E ora affronta con coraggio le dure conseguenze economiche dell’invasione russa dell’Ucraina: a maggio l’inflazione ha raggiunto il 20 per cento; in un anno le bollette dell’energia elettrica sono aumentate del 150 per cento, quelle del gas sono triplicate, la benzina è aumentata del 40 per cento; i prezzi del settore immobiliare sono cresciuti del 63 per cento, quelli dei generi alimentari del 17 per cento. “È solo un piccolo prezzo da pagare per la libertà”, sottolineano gli estoni, pronti anche a rinunciare al petrolio e al gas del Cremlino. “L’energia e i prodotti alimentari rappresentano una quota importante della spesa estone (circa il 35 per cento, contro il 25 per cento del resto d’Europa)”, spiega Kristo Aab, economista della banca Lhv. La crisi pesa, ma gli estoni hanno attraversato momenti peggiori. Oggi il paese ha un tenore di vita simile a quello della Grecia o del Portogallo, mentre nel 2000 era molto peggiore. “Anche con l’inflazione, va molto meglio di dieci anni fa”, sottolinea Aab. ◆
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Questo articolo è uscito sul numero 1467 di Internazionale, a pagina 116. Compra questo numero | Abbonati