Nella raccapricciante favola di Alex Garland (Ex machina) gli uomini sono davvero tutti uguali. Sostenuto emotivamente da Jessie Buckley (che ha dimostrato di saper salvare da sola film surreali, come nel caso di Sto pensando di finirla qui di Charlie Kaufman), questo giocoso e contorto pasticcio forse non è così profondo come sembra. Ma c’è abbastanza melma metaforica perché le riflessioni sulle caratteristiche più tipiche del genere maschile siano raramente noiose e in alcuni casi deliziosamente disgustose. Harper (Buckley) è sopravvissuta a una relazione tossica. Per rimettere insieme i pezzi si rifugia in un ambiente bucolico: una casa di campagna da sogno, con l’accento che ricade sulla parola sogno. La tavolozza di colori saturi della fotografia di Rob Hardy e le scenografie sanguinosamente leziose di Mark Digby e Michelle Day ci conducono in un mondo di lupi cattivi e mele avvelenate. Gli uomini che Harper incontra durante il suo surreale soggiorno sono tutti simili (e tutti interpretati da un solo attore, Rory Kinnear, che scivola senza fatica tra gli stereotipi a cui dà volto). E il fatto che lei non noti le somiglianze ci fa capire che si tratta di un espediente: il mondo è visto attraverso gli occhi di Harper, le sue esperienze, i suoi ricordi. Un mondo forse fantastico che custodisce però una verità essenziale. Gli aspetti (body e folk) horror funzionano e il senso di assedio fa pensare a Cane di paglia. Ma l’ambientazione evoca, sebbene involontariamente, anche Hot fuzz.
Mark Kermode, The Observer
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Questo articolo è uscito sul numero 1475 di Internazionale, a pagina 86. Compra questo numero | Abbonati