Simon (Jérémie Renier) ed Hélène (Bérénice Bejo) sono una coppia borghese parigina. Decidono di vendere la cantina del loro appartamento. Si accordano con un certo signor Fonzic (François Cluzet) e visto che Simon è uno che si fida, gli dà le chiavi prima di redigere l’atto notarile. Quando scopre che non solo Fonzic abita nella cantina, ma che è un ex professore di storia radiato per le sue posizioni negazioniste, è ormai troppo tardi: la bestia immonda si è infiltrata nella loro vita e non ha nessuna intenzione di andarsene. Philippe Le Guay sorprende affrontando una storia con elementi tristemente attuali come la falsificazione della storia e il suo corollario, il complottismo. Il regista di Molière in bicicletta usa questi elementi per un thriller psicologico in cui mette in scena perfettamente l’angoscia di una famiglia impreparata di fronte a un individuo in malafede, abituato a seminare dubbi e contrasti per poi presentarsi come vittima. Le Guay sfrutta molto bene l’ambientazione insistendo, forse anche troppo, sulla metafora offerta dalla felicità dei piani alti in contrasto con la buia e inospitale cantina. E lo stesso Cluzet dipinge il diabolico Fonzic in modo un po’ troppo marcato: un revisionista non si presenta necessariamente come uno psicopatico pietoso. Guillemette Odicino, Télérama
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Questo articolo è uscito sul numero 1476 di Internazionale, a pagina 92. Compra questo numero | Abbonati