Due guantoni da boxe firmati Louis Vuitton incorniciano il volto allegro di un pagliaccio. Un uomo con un casco da motociclista in testa posa davanti a un muro dalle bellissime tonalità di blu, rosa e giallo, indossando un’elegante gellaba (la veste tipica dei popoli maghrebini) bianca immacolata, su cui compare il logo della Nike. In un paesaggio desertico si vedono due donne immobili velate, di cui non si scorgono neanche gli occhi. Hanno dei magnifici vestiti con sopra i nomi delle squadre di basket statunitensi dei Bulls e dei Lakers. Un’altra donna dall’aspetto enigmatico, con il corpo interamente ricoperto da un telo rosso, sembra camminare su un fiume dai riflessi dorati, mentre dietro di lei il paesaggio ocra, con qualche macchia verde creata dagli alberi, è sovrastato da un cielo azzurro intenso.
Benvenuti nel Mousganistan, il paese inventato e sognato da Mous Lamrabat. Il fotografo ha intitolato così la sua prima mostra nel 2019 al museo di Sint-Niklaas, nella regione delle Fiandre, in Belgio, e poi ha continuato a usare questo nome per presentare il suo lavoro.
Ma cos’è il progetto del Mousganistan? Si tratta di un insieme di fotografie dall’impatto visivo immediato, brillanti ed eleganti, spesso un po’ surreali, che evocano la fotografia di moda, e alcune lo sono davvero. I personaggi di Lamrabat incuriosiscono sia per l’ironia (che non è una caratteristica tipica della fotografia di moda) sia per il loro fascino misterioso.
L’artista, nato nel 1983 a Temsamane, nel nordest del Marocco, a cinque anni raggiunse la famiglia di suo padre, che lavorava nelle miniere in Belgio. Ha studiato architettura, ma ha capito presto che non era lo strumento giusto per lui. Non voleva aspettare troppo tempo per realizzare le idee che aveva. Le prime foto che ha pubblicato sui social network sono state subito notate e in poco tempo Lamrabat ha ottenuto molti lavori commissionati nel campo della moda. È stato grazie a quei riconoscimenti che ha cominciato a riflettere sulla sua identità.
“Quando sei figlio di un immigrato di prima generazione, c’è sempre un momento della tua vita in cui ti sembra di non essere al tuo posto. Non ti senti a tuo agio né nel paese in cui sei nato né in quello in cui sei cresciuto. Ho avuto l’impressione di essere troppo marocchino per integrarmi in Belgio e troppo europeo per integrarmi in Marocco. Ovunque vogliamo vivere ci sentiremo sempre come stranieri, e consapevolmente o meno, facciamo del nostro meglio per essere accettati ed essere ‘normali’. Per fortuna a un certo punto della mia vita non ho più voluto farlo. Ho cominciato a rimettere in discussione (e lo faccio ancora oggi) il concetto di ‘normalità’ e tutte le norme e le regole che la società ci impone”, spiega Lamrabat.
“Da allora per me è cambiato tutto: il mio modo di vedere le cose, di agire, di lavorare e di pensare. Sono cresciuto in Europa e ho vissuto in un contesto familiare molto tradizionale. Ho comunque giocato a basket, ho ascoltato l’hip hop e ho guardato i cartoni animati. E tutte queste cose mi hanno reso la persona che sono e si ritrovano nel mio lavoro. Ma il Marocco rimane comunque un luogo importante per me e una fonte d’ispirazione. Quando ho sentito il bisogno di riflettere su quello che volevo realmente fare o essere, sono andato quattro mesi in Marocco, e tutto è accaduto naturalmente. Ho capito che non c’è un modo giusto per fare le cose. Devi solo sapere qual è la strada giusta per te! Voglio mostrare il luogo da cui vengo non come si vede nelle pubblicità. Ho passato la mia gioventù a non potermi integrare e a non sapere dove integrarmi, il mio lavoro è il risultato di questa esperienza”.
Occidente e oriente
È difficile capire se si tratta di foto di moda, di immagini ironiche o che criticano la moda stessa e il consumismo. Probabilmente sono un insieme di tutto questo. “I loghi sui vestiti diventano sempre più grandi e a noi piace. Sembriamo ossessionati dalle marche, le viviamo come una sorta di nuova religione. Tutti vogliono essere alla moda, tutti vogliono essere influencer o blogger. Più il marchio con cui lavori è cool, più tu sei cool. Non dico che sia una cosa buona o cattiva, ma è così. Per questo mi piace utilizzare i loghi. Cerco prima di tutto di attirare l’attenzione delle persone e poi di far passare i miei messaggi. Non so se è la strada migliore per farlo, ma per me è un modo efficace per condividere le mie idee”.
Nel suo universo, Lamrabat spesso nasconde i volti e mostra una grande sensibilità per i paesaggi del Marocco. I colori, scelti e lavorati in modo quasi impulsivo, creano visioni irreali e spesso ironiche: “Mi sono sempre ispirato ai film di fantascienza in cui gli oggetti del futuro si mescolano a quelli di tutti i giorni. Cerco di attribuirgli una funzione diversa da quella originaria come se fossi un viaggiatore nel tempo e mescolassi futuro e passato per ottenere risultati inaspettati. Mi piace anche collegare diverse zone del mondo, cioè l’occidente e l’oriente, perché entrambe fanno parte di me. Da piccolo mi piaceva portare la gellaba e abbinarla alle mie scarpe da basket Jordan. All’epoca era cool perché rappresentava quello che ero, un insieme di identità. È normale che il tuo ‘serbatoio d’idee’ si ingrandisca quando appartieni a più culture o quando vivi sempre in luoghi diversi”.
Quello che conta
Tutto questo ha permesso a Lamrabat di creare delle immagini quasi inclassificabili, seducenti ed enigmatiche. Ognuna è composta da strati sovrapposti. Prima il livello evidente, molto ben controllato tecnicamente, con cui sembra modificare (o modifica realmente) i codici dell’universo della moda. Poi il livello più profondo, in cui ci guida verso una riflessione più intima.
Due immagini, tra le più sobrie, riassumono bene il lavoro di Mous Lamrabat. Sono due ritratti di profilo scattati nello stesso momento e nello stesso luogo. Il cielo ha delle tonalità verdi e azzurre e il paesaggio è vagamente sfumato sullo sfondo. I volti dei due personaggi sono illuminati dallo stesso blu intenso e profondo. L’uomo che indossa il fez (il cappello tradizionale marocchino) di feltro rosso ha come orecchino una piccola bandiera marocchina. La donna con il fez giallo decorato con delle stelle ha invece un orecchino d’oro con la forma della M di McDonald’s.
Queste immagini sintetizzano l’intera storia di Mous Lamrabat: “Fuori casa mia ero in Belgio, ma dentro ero in Marocco. È quello che sono, il mio stile sono io. Alla fine non m’interessa quello che le persone pensano. Quello che conta per me è che nelle mie immagini ci sia sempre un messaggio”. ◆ adr
“Ho cominciato a rimettere in discussione (e lo faccio ancora oggi) il concetto di ‘normalità’ e tutte le regole che la società ci impone”
◆ Al lavoro di Mous Lamrabat è dedicata la mostra Blessings from Mousganistan esposta al Foam, il museo di fotografia di Amsterdam, nei Paesi Bassi, fino al 16 ottobre 2022. Il catalogo, pubblicato dalla Loft art gallery, che rappresenta il fotografo, sarà presentato durante il festival Unseen, che si svolge ad Amsterdam dal 15 al 18 settembre 2022.
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Questo articolo è uscito sul numero 1477 di Internazionale, a pagina 72. Compra questo numero | Abbonati