Chi ha in testa l’immagine da eterno adolescente che ha definito Alex G per più di dieci anni, deve abituarsi a una versione più contemplativa di questa leggenda con la faccia da bambino. L’eroe lo-fi di Filadelfia sta maturando e ha raggiunto quel punto nella carriera in cui l’introspezione e la volontà di aprirsi a nuove idee, come la fede, sono diventate il catalizzatore della creatività. Come sempre, il suo ultimo disco, God save the animals, non è un prodotto finito. Alex G ha molte domande da farsi, demoni con cui riconciliarsi, e spinge anche gli ascoltatori a trovare conforto nel soprannaturale. Lo dimostrano i titoli di alcuni brani come Forgive e Blessing, anche se l’esplorazione della fede supera qualsiasi dottrina religiosa. Questo non è il suo album christian rock, ma musica universale. Blessing è un losco gospel che non somiglia a nient’altro, mentre Forgive colpisce dritta allo stomaco. Altrove, come in No bitterness, Alex G fa il Nick Drake distorto per due minuti e chiude con un pop sperimentale che farebbe impallidire i Drain Gang. Tutti questi salti di genere sarebbero confusi se fatti da qualcun altro, ma l’irregolarità è il tratto distintivo di Alex G. Alla fine God save the animals trova una coesione sulla carta impossibile.
Kyle Kohner, The Line of Best Fit
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Questo articolo è uscito sul numero 1479 di Internazionale, a pagina 96. Compra questo numero | Abbonati