Nel 1922 Benito Mussolini formò e guidò un governo di coalizione composto da diverse forze conservatrici. Anche se aveva solo l’8,15 per cento dei voti, il leader del Partito nazionale fascista conquistò il potere minacciando di far marciare su Roma le camicie nere e forzando la mano al re Vittorio Emanuele III. Un secolo dopo, l’Italia potrebbe avere un governo presieduto da una discendente spirituale di Mussolini. Giorgia Meloni guida il partito Fratelli d’Italia (FdI), erede del Movimento sociale italiano di Giorgio Almirante, un fascista che aveva militato nella Repubblica di Salò, ultimo bastione mussoliniano alleato dei nazisti verso la fine della seconda guerra mondiale.

I mezzi d’informazione italiani ed europei hanno sminuito la portata di questa inquietante giornata elettorale, ricorrendo a contorsioni linguistiche ed eufemismi vari. Alcuni hanno definito l’alleanza di Meloni con la Lega xenofoba di Matteo Salvini e con il maschilismo di Silvio Berlusconi come “coalizione di centrodestra” o “alleanza conservatrice”. Altri hanno lanciato l’allarme parlando di “trionfo dell’estrema destra”.

Roma, 22 settembre 2022 (Alessandro Penso)

In realtà siamo davanti alla vittoria travolgente, nella terza economia dell’Unione europea, di una coalizione guidata da una forza politica d’ispirazione fascista, tanto da mantenere nel logo la fiamma che rappresenterebbe la fiaccola sulla tomba di Mussolini. Non si tratta semplicemente di estrema destra ma del fascismo eterno teorizzato da Umberto Eco, che torna al potere con un travestimento grossolano. Meloni è una donna giovane proveniente da un quartiere popolare. Fa parte dell’internazionale neofascista (che ha attecchito negli Stati Uniti, in Polonia, in Ungheria, in Francia e in Spagna), appoggiata senza vergogna da quelli che un tempo erano mezzi d’informazione antifascisti e da partiti democristiani e conservatori.

Qualcosa di sinistra

L’indiscutibile vittoria di Meloni, che è passata dal 4,3 per cento dei voti del 2018 al 26 per cento del 2022, evidenzia la definitiva normalizzazione dei partiti neofascisti nel cuore dell’Europa. Non stiamo più parlando della lontana Ungheria o dell’ultracattolica Polonia. L’Italia è un paese fondatore dell’Unione europea e l’affermazione schiacciante di Fratelli d’Italia è il frutto di un fallimento clamoroso del progetto europeo. È anche un passo indietro preoccupante per la vecchia promessa di una democrazia avanzata, diritti umani per tutte e tutti, cultura e inclusione sociale. Una promessa già in parte tradita dalla pessima gestione tedesca della crisi del 2008, quando Berlino decise di punire i cittadini per gli eccessi del settore finanziario e di umiliare il governo di sinistra in Grecia, favorendo la crescita dell’estrema destra in tutto il continente.

L’astensione al 36 per cento, la più alta da quando l’Italia si è lasciata alle spalle l’ultima guerra mondiale con la sua costituzione antifascista, ci ricorda che l’estrema destra, come è già successo con il fascismo un secolo fa, prospera grazie a tre elementi: la normalizzazione dei suoi ideali antidemocratici alimentata dai grandi mezzi d’informazione e dai loro padroni; la nausea e la disaffezione di un elettorato che si sente chiamato a partecipare alla cosa pubblica solo mettendo una croce su una scheda ogni cinque anni; e l’abbandono delle politiche redistributive e della vocazione di giustizia sociale della socialdemocrazia, a vantaggio di un’adesione incondizionata al dogma di un capitalismo cinico.

La moderazione di Meloni nel suo discorso dopo la vittoria elettorale non deve ingannare. Come ha dimostrato il suo intervento in Andalusia alla manifestazione di Vox (il partito spagnolo di estrema destra), la leader di FdI è un’esaltata, con un programma politico che mette in pericolo i diritti delle donne, delle persone lgbt+, degli immigrati e dei più poveri, favorendo le grandi aziende, la chiesa più reazionaria e altre forze che vogliono meno democrazia.

Il trionfo di Meloni è una notizia pessima, ma in fondo anche logica. La dinamica della guerra sta accelerando l’involuzione dell’Europa, e l’Italia nel bene e nel male è sempre stata il laboratorio politico del continente. Dopo il ventennio berlusconiano e quasi un decennio di governi tecnici falsamente socialdemocratici, i postfascisti, dopo essersi piegati ai dettami della Nato e dell’austerità, sono diventati degli ottimi candidati per amministrare la nuova eccezionalità. Così l’Italia precipita verso un governo dalle tinte autoritarie che sarà il perno di un bizzarro asse Roma-Budapest-Varsavia. Piangere sul latte versato non ha senso, ma quanto aveva ragione Nanni Moretti quando nel suo film Aprile chiedeva a Massimo D’Alema di dire “qualcosa di sinistra”! ◆ as

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Questo articolo è uscito sul numero 1480 di Internazionale, a pagina 22. Compra questo numero | Abbonati