Il romanzo di Sana Krasikov solleva enormi e complesse domande sull’identità, la lealtà, la verità e l’autoinganno, ed esplora i complessi legami storici tra Russia e Stati Uniti. La protagonista, Florence Fein, lascia la Brooklyn degli anni trenta per la sovietica Magnitogorsk, una città industriale degli Urali. Vuole scappare dal sistema capitalistico, inseguendo ingenuamente una vita utopica e un russo dagli occhi scuri di nome Sergej. Settant’anni dopo Julian, il figlio di Florence, cerca di risolvere i dolorosi interrogativi sulla vita di sua madre: perché si è rifiutata di condannare il sistema che ha distrutto la loro famiglia, ha ucciso suo marito e l’ha imprigionata per otto anni? Facendo la spola tra Washington e Mosca, Julian progetta rompighiaccio per estrarre petrolio nell’Artico russo. I suoi tentativi di estrarre il dossier declassificato di sua madre dalle “viscere ancora calde dell’Unione Sovietica” sono uno dei tanti parallelismi metaforici della trama. Al centro di un romanzo denso e coinvolgente ci sono storie vere come quelle delle centinaia di statunitensi che negli anni trenta vivevano in Unione Sovietica e che furono abbandonati da Washington, restando intrappolati nel terrore di Stalin. I patrioti contiene elementi di saga familiare, thriller aziendale, romanzo storico e di formazione filosofico. Florence è paragonata a Odisseo, a Cenerentola e a Faust, e il suo viaggio inizialmente idealistico ha uno slancio irresistibile. Krasikov mette sotto i riflettori la moralità del patriottismo. All’inizio la cronologia del libro è volutamente irregolare: salta dal 1956 al 1934, dal 2008 al 1932. Poi le trame, ben realizzate, convergono. Gli intrecci aziendali di Julian nella Mosca quasi contemporanea e la terribile storia di sua madre si riflettono in modo significativo. L’abile navigazione del romanzo tra i riverberi e le discrepanze della storia fornisce nuove mappe del passato. I punti più toccanti esplorano le difficili relazioni tra genitori e figli, e il fatto che, come commenta un personaggio, “non c’è abbastanza gentilezza nel nostro mondo”. Phoebe Taplin, The Guardian
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Questo articolo è uscito sul numero 1487 di Internazionale, a pagina 96. Compra questo numero | Abbonati