Sophie Calle racconta delle storie. Ne ha pubblicate molte nella collana Photo Poche della casa editrice Actes Sud di Arles, in Francia. Tra le più celebri: Les dormeurs, Douleur exquise, Des histoires vraies, Le rituel d’anniversaire e L’hôtel. Calle racconta due tipi di storie, quelle che ha vissuto e quelle che ha raccolto. Nella maggior parte dei casi sono incredibili, stravaganti o inverosimili. In tutte mescola immagini e testi, usando una narrazione semplice ed efficace, con un punto di vista diretto, apparentemente freddo, che evita ogni sentimentalismo, ma che non esclude né la sensibilità né una sincera forma di emozione.

L’insieme riflette un’attenzione reale per i dettagli e una grande curiosità. Il suo talento le permette di parlare di sé senza compiacimento, narcisismo, esibizionismo o vergogna. E senza che la sua curiosità, che può spingerla a fotografare gli oggetti personali lasciati dagli ospiti nelle stanze dell’albergo in cui si è fatta assumere come cameriera (nella serie L’hôtel), ci trasformi in semplici voyeur. Il voyeurismo ovviamente c’è, ma serve per riflettere meglio su questo tema.

Tu les as bien eus! (Li hai fregati!)
“Una volta ho esposto al MoMa di New York. Mia madre è venuta all’inaugurazione della mostra. Quando ha visto le mie opere tra quelle di Hopper e Magritte è rimasta sorpresa. E senza alcuna malizia ha esclamato: ‘Li hai fregati!’”. (Tutte le foto: copyright Sophie Calle, by Siae 2022)

Con una predilezione per ciò che di solito si considera poco importante e un senso costante del pericolo che riesce a controllare con disinvoltura, Calle s’interroga sugli aspetti più profondi e assurdi della sua vita e di quella degli altri. E lo fa con un umorismo piacevole e stravagante, che la avvicina a un surrealismo contemporaneo.

La maggior parte delle sue storie si conclude con delle piroette che lasciano interdetti, sempre in dubbio sulla verità delle sue affermazioni, divisi tra l’impressione che il mondo reale racchiuda più sorprese della finzione e la certezza che tutto sia assolutamente falso, inventato.

In questo modo Calle racconta quando da adolescente riuscì a evitare un’operazione di chirurgia estetica al naso perché il medico che doveva farla si suicidò due giorni prima. O quando, nell’immagine intitolata Le porc, l’artista racconta come le parole di un uomo che voleva andare a letto con lei quando aveva trent’anni continuino ancora a perseguitarla. In un’altra racconta di quando all’inaugurazione della sua mostra al MoMa di New York sua madre esclamò “Li hai fregati!”, vedendo le sue opere accanto ad alcuni capolavori dell’arte moderna. Dopo che sua madre è morta, Calle le ha dedicato la mostra e il libro intitolati Rachel, Monique, in cui ha mescolato con ironia realtà e invenzione. Come in un rituale ha usato gli oggetti personali della madre, la quale ha fatto scrivere sulla sua tomba “Mi sto già annoiando”. Ci sono la boccetta di morfina che l’ha aiutata a morire e il suo diario, che l’artista ha letto integralmente in pubblico durante la mostra.

Compie un rituale anche per la morte del suo gatto Souris (Topo), da cui dopo quattro anni dice di non essersi ancora ripresa; e chiede ai suoi amici di raccontargli il momento più difficile della loro vita per superare una separazione amorosa molto difficile.

I rituali, gli strumenti, i limiti e i metodi che Calle impone a se stessa e alle persone che coinvolge nei suoi progetti sono sempre virtuosi. Lavora per serie, che a volte abbandona per poi riprenderle e concluderle, di solito con un libro o una mostra. I suoi metodi richiedono al tempo stesso un piano e l’intervento del caso. Come quando ha seguito in segreto fino a Venezia un uomo che le era stato appena presentato o si è fatta pedinare da un investigatore dell’agenzia privata Duluc détective ingaggiato per conto della madre. Un’operazione che ripeterà vent’anni dopo su richiesta del suo gallerista.

Le porc (Il maiale)
“È una storia assurda. Avevo trent’anni. Un uomo mi ha contattato per dirmi che facevamo progetti simili. Ho accettato d’incontrarlo, ho sempre paura di perdermi delle occasioni. La sua arte consisteva nel chiedere a degli sconosciuti di andare a letto con lui. Io stessa non avevo forse proposto a degli estranei di dormire nel mio letto per fotografarli? Aveva previsto di portarmi a un barbecue a Neuilly. Mi sono comportata bene tutta la serata. Ho grigliato le salsicce, servito, apparecchiato. Tenendomi occupata il tempo passava più velocemente. Alla fine mi ha lasciato davanti alla porta di casa e si è avvicinato per cercare le mie labbra. L’ho respinto dicendogli: ‘Cosa le ha fatto credere che ho voglia di baciarla?’. Lui ha risposto: ‘Comunque lei mangia come un maiale!’. Sono passati anni, ma questa frase mi tormenta ancora. Anche se ho dimenticato tutto di lui, è come se fosse sempre seduto a tavola con me”.

Anche se la morte è una preoccupazione costante per Sophie Calle, lo è senza pathos o drammatizzazione. Si capisce bene in un’immagine della serie Les tombes, in cui su tre lapidi sono scritte solo le parole Father, Mother e Son (padre, madre e figlio), che rendono queste persone completamente anonime e permettono all’artista di riflettere sull’assenza.

Forse anche le serie legate al sonno sono un’estensione o una metafora della morte. Tutto è cominciato nel 1979, con la serie che l’ha resa famosa, Les dormeurs (I dormienti), in cui dalle 17 del 1 aprile alle 10 del 9 aprile, Calle ha fotografato ogni ora persone diverse che dormivano nel suo letto. Per un altro lavoro ha inviato il suo materasso e i suoi cuscini a un uomo che aveva espresso il desiderio di dormire nel suo letto per riprendersi da una delusione d’amore. Tutto poi è stato rispedito a Calle e sembra che questa assurda terapia abbia funzionato. Una sfida ardua è stata quella in cui è riuscita a passare la notte tra il 5 e il 6 ottobre 2002 in una sala preparata per lei in cima alla torre Eiffel, a Parigi. Ha chiamato questa perfomance Chambre avec vue (Camera con vista).

Chambre 30. 24 février (Camera 30. 24 febbraio)
“Martedì 24 febbraio, ore 9.45. Entro nella camera numero 30. Il letto matrimoniale è disfatto. Nella stanza regna un leggero disordine. Ci sono vestiti sparsi qua e là: un paio di jeans, una giacca di camoscio… Sul comodino di destra ci sono delle cartine di Venezia, una sveglia, il libro Vendredi ou les limbes du Pacifique, un’agenda. La sfoglio. Al 28 febbraio c’è scritto: ritorno. Al 7 aprile: partenza. Nella pagina delle note: vedere il ghetto. Le altre pagine sono vuote. A sinistra qualcuno ha fumato il sigaro. Sul comodino Mishima di Yourcenar, una macchina fotografica Minolta e nel cassetto un’agenda bella fitta. La guarderò più tardi. Nell’armadio, dalla parte di lui: tre pantaloni, quattro cravatte, due maglioni, un completo di velluto blu. Di lei: un abito rosso, una gonna grigia. I cassetti sono entrambi pieni: calzini, mutande, reggiseni… un corredo completo. Sotto i maglioni c’è una piccola borsetta nera ricamata. Contiene 545 franchi, un telegramma accartocciato e una lettera, una lettera d’amore. È firmata Fabrice: ‘Mercoledì sera. Cara Patricia. Nel porta monete trovi tutte le tue cose e parecchi soldi. La sera è un po’ come il paradiso perduto ma sono comunque felice perché ho speranza. È perché tu capisci meglio di me cosa vuol dire amore, cosa comporta. È davvero un affare da donne e io mi sento molto goffo. Questa non è una lettera, ti scriverò più tardi, ti amo Patricia e mi dico sempre di più che sono fortunato ad aver incontrato una donna come te. Ti bacio con tutta la mia tenerezza perché a te piace e anche a me. Fabrice’. Il telegramma: ‘What’s going on, honey?’ (come va tesoro?) è stato spedito da Chicago e indirizzato a Patricia […], Parigi, 11°. Porta la stessa firma. È datato 25 ottobre 1965…”.

La vista è un senso che Sophie Calle mette spesso in discussione. Nella serie Aveugles (Ciechi) dà la parola a delle persone nate cieche, a cui chiede qual è la loro immagine della bellezza; ad altre che lo sono appena diventate domanda invece qual è stata l’ultima cosa che hanno visto. Nella serie Voir la mer, porta alcune persone a vedere il mare per la prima volta. Si susseguono ritratti di spalle, quando i soggetti guardano verso il mare, ad altri frontali, dopo che l’hanno visto. Un’idea semplice, con delle immagini forti, per cui ha realizzato anche un video meraviglioso.

Chambre avec vue (Camera con vista).
Coquard (Occhio nero)
“Mio padre, che pianificava tutto, mi aveva chiesto di non versare lacrime al suo funerale. Le ho trattenute. La notte, mezza addormentata, sono andata verso il giardino, ma non ho aperto la vetrata e mi sono presa la sua morte in faccia. Mi sono svegliata con un occhio nero. Aveva la forma di una lacrima”.
Ma mère est morte (Mia madre è morta)
“Il 27 dicembre 1986 mia madre aveva scritto nel suo diario: ‘Oggi è morta mia madre’. Il 15 marzo 2006 tocca a me scrivere: ‘Oggi è morta mia madre’. Nessuno lo farà per me. Finito”.

Tra reale e immaginario, testimonianza e manipolazione, giocando anche con la morte, Sophie Calle ha costruito un’opera estremamente sincera, a cui una punta di umorismo, spesso irriverente, evita qualunque manierismo, effetto dimostrativo e tentazione di esemplarità. In epigrafe al nuovo volume uscito per Actes Sud, che raccoglie 171 sue opere, Sophie Calle scrive:

Ai numeri assenti.

Mancava il numero 101 della collana

e la lista dei titoli era:

n. 100: Non sono una fotografa…

n. 101: Di prossima pubblicazione

n. 102: Gianni Berengo Gardin

Non so perché, ma capitava bene.

Mi piaceva occupare questo posto fantasma. E di arrivare dopo Non sono una fotografa…

n. 100: Non sono una fotografa…

n. 101: Sophie Calle

n. 102: Gianni Berengo Gardin

Niente da aggiungere. ◆ adr

Dalla serie Voir la mer. Femme au bébé (Vedere il mare. Donna con bambino)
Souris
“Fabio l’ha baciato. Camille gli ha sussurrato all’orecchio la sua canzone She was. Florence l’ha accarezzato. Anne l’ha addormentato. È morto. Maurice ha scavato una buca in giardino. Ho messo Souris in una piccola bara bianca di legno usata dai rappresentanti delle pompe funebri, prima che si utilizzassero le fotografie. Troppo piccola. Le zampe posteriori sporgevano. Yves lo ha sepolto. Serena ha piantato dei narcisi intorno alla tomba.
Ho ricevuto un messaggio sul telefono: ‘Sophie, mi dispiace per il tuo gatto. Puoi dire a Camille di prendere le verdure, soprattutto porri e rape se ne trova? Baci’”.
Da sapere
Il libro

◆ Il volume numero 101 della collana Photo Poche (Actes Sud 2022) intitolato Sophie Calle è uscito in occasione dei quarant’anni della collana, con un’introduzione di Clément Chéroux. La serie Aveugles è esposta all’Art institute di Chicago, negli Stati Uniti, fino al 23 gennaio 2023. L’artista sta preparando una mostra al museo Picasso di Parigi per l’autunno 2023.


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Questo articolo è uscito sul numero 1493 di Internazionale, a pagina 62. Compra questo numero | Abbonati