Nel video di Been to the mountain, l’ipnotico brano rock che apre il suo quarto album, Margo Price rovescia un tè ai funghetti allucinogeni, vomita e inciampa, mentre osserva delle visioni di se stessa nel deserto. È uno scenario che per certi versi rispecchia la realtà, dato che Price e suo marito, il chitarrista Jeremy Ivey, hanno scritto le canzoni di Strays nel corso di sei giorni passati in South Carolina, prendendo funghi allucinogeni e cercando nuove direzioni creative. Il risultato non è un disco puramente psichedelico, ma è comunque un bel salto dal country di Midwest farmer’s daughter del 2016, che era ricco di sfumature alla Tammy Wynette e Loretta Lynn. Molto meno country, molto più alt, Price è arrivata in un mondo sonoro che a volte vortica con chitarre rock e organi Farfisa. È facile capire perché la cantante sia alla ricerca di una liberazione spirituale. Quando ha pubblicato il suo debutto nel 2016, alla soglia dei 33 anni, veniva da un periodo duro, fatto di tour faticosi, abuso di alcol e droghe, carcere e la tragica morte di uno dei gemelli avuti con Ivey. Nei momenti chiave quindi Strays esplode in un desiderio di libertà e spazi aperti, come succede in Light me up, supportata dalla chitarra dell’ex Heartbreaker Mike Campbell. In Lydia invece Price torna a fare una delle cose che le riescono meglio: i ritratti degli emarginati. Il disco finisce immerso in uno stato d’animo di chiara nostalgia: in Landfill la cantante vede le ambizioni frustrate dei suoi anni perduti come immondizia sparsa in una discarica. Anche tra le ceneri del suo passato, però, Margo Price continua a bruciare sempre più intensamente.
Tom Doyle, Mojo
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Questo articolo è uscito sul numero 1494 di Internazionale, a pagina 86. Compra questo numero | Abbonati