L’economia non dà tregua al Venezuela. Nonostante un miglioramento rispetto agli anni peggiori della crisi e la lenta ripresa del settore petrolifero, le previsioni ottimistiche con cui si era chiuso il 2022 non si stanno realizzando. Il paese affronta il rischio dell’iperinflazione e la produzione di greggio continua a stentare. Sono ricominciate anche le proteste dei lavoratori, che chiedono al governo di Nicolás Maduro salari più alti. Le mobilitazioni arrivano mentre è in corso il negoziato tra il chavismo al potere e l’opposizione, un tentativo di dialogo ostacolato dalla reticenza degli Stati Uniti a sbloccare le risorse statali congelate all’estero.
Le manifestazioni non hanno un carattere strettamente politico: la priorità sono le condizioni materiali, soprattutto dopo anni di gestione economica catastrofica e sanzioni internazionali. Alle proteste partecipano professionisti, tecnici e lavoratori della scuola, della sanità, del settore siderurgico e metalmeccanico, dipendenti pubblici e pensionati. Il salario minimo percepito da gran parte dei dipendenti pubblici è di 130 bolívar al mese, circa 6,5 euro. Anche se la cifra è più alta rispetto al passato, è irrisoria di fronte all’aumento dei prezzi. Milioni di persone dipendono dagli aiuti statali, creando un meccanismo che favorisce i militanti e i simpatizzanti chavisti.
La vera urgenza per il governo è affrontare una situazione insostenibile. Alla fine di novembre il dialogo aperto in Messico aveva portato a un accordo per arginare la crisi umanitaria: era stato un segnale incoraggiante, ma ora il rifiuto del chavismo di proseguire se Washington non velocizzerà lo sblocco dei fondi, insieme alla situazione caotica dell’opposizione, hanno complicato il negoziato. È fondamentale fare il possibile per tornare a dialogare e alleviare le sofferenze della popolazione. ◆ as
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Questo articolo è uscito sul numero 1496 di Internazionale, a pagina 17. Compra questo numero | Abbonati