Mentre il bilancio delle vittime del terremoto del 6 febbraio 2023 continua a salire, dalle città del sudest della Turchia e del nord della Siria arrivano storie di bambini, anziani e intere famiglie estratti dalle macerie dalle squadre di soccorritori e dai sopravvissuti. Le persone si arrampicano tra le mura delle case crollate per liberare i familiari a mani nude, ma quello che fanno è solo una goccia nel mare.
La stima iniziale delle autorità turche è di almeno 6.200 edifici distrutti. Tredici milioni di persone sono state colpite dal più grave terremoto nella regione dal 1939. Le Nazioni Unite prevedono che 23 milioni di turchi e siriani, tra cui un milione di bambini, ne soffriranno in qualche modo le conseguenze. I sopravvissuti, costretti a vivere all’aperto ed esposti al freddo, alla pioggia e alla neve, dovranno fare i conti con le interruzioni di corrente elettrica e la mancanza di viveri e acqua potabile. Le strade impraticabili complicano enormemente i soccorsi.
Nel nord della Siria, una delle ultime roccaforti di quel che resta dell’opposizione al presidente Bashar al Assad, la situazione è forse peggiore. La popolazione chiede aiuto, ma quasi nessuno risponde. Già prima del terremoto 2,7 milioni di sfollati al confine con la Turchia contavano sugli aiuti umanitari per sopravvivere. Molti abitano in baraccopoli alla periferia delle città, in campi o edifici abbandonati. In più di un decennio di guerra il regime siriano ha causato la distruzione di gran parte delle infrastrutture, ospedali compresi. Il conflitto ha tolto praticamente tutto alla popolazione. Che ora ha ancora meno. Damasco ha il dovere di fermare le ostilità per facilitare l’arrivo degli aiuti internazionali.
Intanto il presidente turco ha dichiarato lo stato d’emergenza di tre mesi. Il provvedimento garantisce al governo poteri straordinari. I donatori internazionali dovranno invitare Ankara a usarli con moderazione.
Finora la risposta internazionale è stata compatta e rapida. La Turchia ha ricevuto offerte d’aiuto da settanta paesi e organizzazioni, mentre l’Unione europea ha mobilitato più di trenta squadre di soccorso ed équipe mediche. Si spera che questi specialisti, insieme a quelli inviati da Iran, Cina ed Emirati Arabi Uniti, trovino il modo di lavorare insieme. Un disastro di queste dimensioni impone che le divergenze politiche siano messe da parte per rendere più efficaci i soccorsi. ◆ as
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Questo articolo è uscito sul numero 1498 di Internazionale, a pagina 17. Compra questo numero | Abbonati