La spiaggia di Ribeira da Barca non è citata sulle guide turistiche di Capo Verde. Si trova a Santiago, l’isola principale dell’arcipelago al largo della costa nordoccidentale dell’Africa, e gli enormi cumuli di sabbia nera, le distese di ciottoli e i camion che vanno e vengono, la fanno somigliare più a una miniera a cielo aperto. A Capo Verde l’estrazione della sabbia è un’attività antica, che coinvolge soprattutto le donne. Un lavoro faticoso e pagato male, ma spesso anche l’unico possibile. Ogni giorno le lavoratrici entrano ed escono dall’acqua durante la bassa marea e raccolgono la sabbia in grandi secchi, che poi trasportano sulle loro teste. Molte non sanno neanche nuotare.
“Sull’isola le chiamano ‘ladre di sabbia’. È una pratica illegale dal 2010, ma è tollerata dalle autorità”, spiega il fotografo francese Mathias Depardon, che ha documentato l’estrazione della sabbia a Capo Verde e in altri cinque paesi, mostrando anche le conseguenze dannose per l’ambiente.
Oggi il 70 per cento delle spiagge del mondo sta scomparendo. La sabbia è la risorsa naturale più richiesta dopo l’acqua. È usata per l’edilizia, l’elettronica, la cosmetica e molto altro. “In media per una casa si usano duecento tonnellate di sabbia; per un ospedale circa tremila. È ora di pensare a delle alternative per proteggere la biodiversità e le spiagge del pianeta”, dice Depardon. ◆
◆ Le foto di Mathias Depardon fanno parte della serie Sand dealer (trafficanti di sabbia), sei reportage dedicati alle conseguenze ambientali, economiche e sociali del commercio della sabbia in diversi paesi pubblicati dal quotidiano francese Le Monde.
Mathias Depardon è un fotografo francese nato a Nizza nel 1980.
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Questo articolo è uscito sul numero 1500 di Internazionale, a pagina 74. Compra questo numero | Abbonati