La scarsa cura dei beni pubblici e un decennio di tagli imposti da Bruxelles hanno trasformato la Grecia in uno stato incapace di garantire i servizi di base. Dopo gli incendi del 2009 e del 2018, l’incidente ferroviario che il 28 febbraio ha provocato 57 vittime lo ha confermato. L’ondata di proteste scatenata dal disastro ricorda le scene viste ai tempi della troika. La rabbia dei greci è rivolta contro l’austerità brutale che ha smantellato infrastrutture già precarie, ma anche contro la risposta della politica. La fretta con cui il premier conservatore Kyriakos Mitsotakis ha dato la colpa a un errore del capostazione è stata accolta come un oltraggio.

Nel 2017 l’azienda Ferrovie dello Stato Italiane ha acquisito il 100 per cento delle ferrovie greche, ma la gestione dell’infrastruttura è rimasta di competenza di Atene. La Commissione europea si era detta preoccupata per la scarsa sicurezza della rete ferroviaria e aveva chiesto di adottare il sistema europeo di controllo dei treni, che avrebbe potuto evitare l’incidente.

La tragedia avrà conseguenze politiche. Quest’anno sono in programma le elezioni legislative, e dopo la riforma della legge elettorale per la prima volta il partito che vincerà non potrà contare sul premio di maggioranza da cinquanta seggi. In testa ai sondaggi c’è Nuova democrazia, il partito di Mitsotakis, tallonato da Syriza (sinistra). Ma è probabile che dalle urne non esca un risultato chiaro e che bisognerà tornare al voto. Gli incendi del 2009 e del 2018 avevano provocato la sconfitta dei partiti di governo. Dunque alla tragedia si somma il rischio dell’ingovernabilità, in un contesto europeo segnato dalla guerra e dall’inflazione. ◆ as

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Questo articolo è uscito sul numero 1504 di Internazionale, a pagina 17. Compra questo numero | Abbonati