Prima dell’ultimo viaggio in Etiopia del segretario di stato statunitense Antony Blinken, si era parlato della possibilità che Wash­ington togliesse alcune sanzioni che aveva imposto al paese durante la guerra nel Tigrai. In realtà, anche se ha annunciato nuovi fondi per le organizzazioni umanitarie attive in Etiopia, Blinken ha detto che il governo etiope deve impegnarsi per lanciare un processo “credibile” per la giustizia di transizione in rapporto agli abusi dei diritti umani commessi nei due anni di conflitto. “Se questo processo andrà avanti, potremo tenere fede agli impegni presi con l’Etiopia, anche quelli economici”, ha dichiarato Blinken dopo il colloquio con il primo ministro etiope Abiy Ahmed.

La posizione di Washington è speculare a quella dell’Unione europea. Durante la guerra, gli Stati Uniti hanno approvato sanzioni per colpire gli individui accusati di prolungare il conflitto e hanno sospeso la partecipazione dell’Etiopia a un vantaggioso accordo commerciale. Intanto l’Unione ha bloccato 107 milioni di dollari a sostegno del bilancio etiope, motivando la decisione con le gravi violazioni dei diritti umani. Violazioni che, secondo gli investigatori delle Nazioni Unite, sono imputabili sia ai combattenti governativi sia ai ribelli del Fronte popolare di liberazione del Tigrai (Tplf).

Alcune delle peggiori atrocità sono state commesse dai soldati eritrei, alleati dell’esercito etiope, accusati di aver condotto una campagna di stupri e schiavitù sessuale, e di aver ucciso centinaia di uomini e ragazzi nella città santa di Axum. Le forze della regione Amhara, alleate del governo federale, avrebbero messo in fuga centinaia di migliaia di persone dall’ovest del Tigrai, rivendicando quel territorio, in un’operazione di “pulizia etnica”.

La punta dell’iceberg

Secondo la commissione internazionale di esperti di diritti umani sull’Etiopia, creata dall’Onu (Ichree), il governo etiope avrebbe usato “la fame come arma di guerra”, chiudendo i confini e bloccando gli aiuti. Nel 2021 gli Stati Uniti hanno stimato che queste misure hanno spinto sull’orlo della carestia 900mila dei sei milioni di tigrini. Queste atrocità sono solo “la punta dell’iceberg”, afferma Flavia Mwangovya, vicedirettrice di Amnesty international per l’Africa orientale e meridionale. Considerato il blocco delle comunicazioni, molti crimini potrebbero essere ancora nascosti.

Prima di ripristinare gli aiuti all’Etiopia, Stati Uniti e Unione europea hanno insistito su tre punti. I primi due riguardano la fine dei combattimenti e la ripresa degli aiuti umanitari al Tigrai. Il terzo chiede di rendere conto delle violazioni dei diritti umani. Un cessate il fuoco firmato all’inizio del novembre 2022 ha messo a tacere le armi e ha fatto tornare i camion carichi di aiuti umanitari nel Tigrai, dove 5,2 milioni di persone hanno bisogno di assistenza. L’accordo parla anche di “una politica nazionale di giustizia di transizione, con l’obiettivo di attribuire le responsabilità, accertare la verità, risarcire le vittime, portare alla riconciliazione e alle riparazioni”.

Su questo fronte sono necessari maggiori sforzi prima di normalizzare le relazioni, fanno notare alcuni diplomatici. Il governo etiope, che dovrà spendere quasi 20 miliardi di dollari per la ricostruzione e spera fortemente nel ritorno dei donatori, ha cominciato a muoversi. A gennaio il ministero della giustizia ha presentato un documento che si concentra sulla ricerca della verità e la riconciliazione. Il testo afferma che “pensare solo alle responsabilità penali ha degli svantaggi”, ma non esclude di perseguire i criminali di guerra. Propone vari modelli di giustizia di transizione, tra cui la nascita di una “commissione per la verità e la riconciliazione”, la creazione di una procura speciale o l’uso d’istituzioni già esistenti.

I paesi donatori preferirebbero concentrarsi sui crimini di guerra commessi dallo scoppio della guerra nel novembre 2020. Il ministero della giustizia, però, suggerisce di cominciare dal 1991, l’anno in cui arrivò al potere un regime dominato dal Tplf, o dal 1995, quando entrò in vigore l’attuale costituzione. Questo significherebbe lanciare una riflessione a livello nazionale, invece di pensare solo al recente conflitto.

L’Etiopia non fa parte della Corte penale internazionale, e questo esclude la possibilità di ricorrere al tribunale del­l’Aja. Il documento del ministero respinge anche l’idea di creare un apposito tribunale internazionale, come quelli per l’ex Jugoslavia e il Ruanda. “L’unica opzione è promuovere la giustizia nei tribunali nazionali, prevedendo l’avvio di riforme istituzionali”, si legge nel testo. Un diplomatico europeo ad Addis Abeba trova che sia un “passo nella direzione giusta”, ma pensa che siamo “ancora lontani dal poter vedere dei risultati”. Un altro diplomatico occidentale esprime “preoccupazione” sulla trasparenza, soprattutto in relazione alle “indagini e ai processi”.

Nel corso del conflitto il governo etiope ha criticato i mezzi d’informazione occidentali che denunciavano massacri e violenze sessuali, accusandoli di parzialità e arrivando a espellere rappresentanti diplomatici e funzionari dell’Onu. Le autorità hanno impedito ai giornalisti di entrare nel Tigrai.

Da sapere
Due anni di combattimenti

◆ La guerra fra le truppe filogovernative e i ribelli del Fronte popolare di liberazione del Tigrai (Tplf) è scoppiata il 3 novembre 2020 ed è finita due anni dopo. Secondo alcune stime, potrebbe aver causato 600mila vittime. Tra il 28 e il 29 novembre 2020 almeno 240 civili sono stati uccisi ad Axum. La strage è stata attribuita ai soldati eritrei, che erano intervenuti nel paese vicino a sostegno delle truppe governative. El País, Ethiopia Insight


Di recente il dipartimento di stato di Washington ha pubblicato un rapporto sulle violazioni dei diritti umani nel nord dell’Etiopia. Addis Abeba l’ha definito “fazioso”, “prematuro” e “provocatorio”, e nel frattempo ha cercato di tagliare i fondi all’Ichree, la commissione d’inchiesta dell’Onu. I componenti del­l’Ichree hanno visitato l’Etiopia una sola volta, nel luglio scorso. Sono rimasti nella capitale e non hanno potuto viaggiare nelle aree coinvolte dal conflitto. Alla luce di tutto ciò, gli esperti di diritti umani dubitano che il governo s’impegnerà a garantire un processo di giustizia transizionale in cui tutte le parti si assumano le loro responsabilità.

Scarsa trasparenza

La commissione Ichree è stata creata nel dicembre 2021, dopo la pubblicazione di un rapporto congiunto del Consiglio per i diritti umani dell’Onu e della commissione per i diritti umani etiope in cui si affermava che tutte le parti coinvolte nel conflitto avevano commesso degli abusi. Le conclusioni erano state accettate dall’Etiopia. Il rapporto chiedeva indagini più approfondite, ma il governo si è opposto, istituendo invece una “task force interministeriale” con esperti internazionali come supervisori. Le attività della task force e del ministero della giustizia sono state poco trasparenti. Finora pochi soldati sono stati condannati per quello che avevano fatto durante la guerra. Le loro identità e i loro reati non sono stati resi noti.

Nel frattempo il governo ha cercato di sminuire le accuse. In una prima indagine sul massacro di Axum, il ministero della giustizia suggeriva che gran parte delle vittime fossero combattenti e che alcuni dei responsabili fossero criminali con indosso delle uniformi eritree ed etiopi fornitegli dal Tplf. Solo in un secondo tempo il governo ha riconosciuto che le vittime erano civili, uccisi da soldati eritrei. Anche il Tplf ha respinto le accuse rivolte ai suoi combattenti. Nel febbraio 2022 Amnesty international ha rivelato che i miliziani tigrini avevano ucciso dei civili e stuprato donne in alcune città amhara, ma il Tplf ha liquidato le conclusioni definendole “parziali e fuorvianti” e promettendo un’inchiesta che non è mai partita.

Il 24 marzo 2023 il nuovo presidente ad interim del Tigrai, Getachew Reda, ha ribadito l’importanza “d’individuare le responsabilità e di fare giustizia sul genocidio contro il popolo tigrino”, ma non ha nominato i reati commessi dai suoi.

Abadir M. Ibrahim, direttore associato del programma sui diritti umani alla Harvard law school, si è detto “scettico” sulla possibilità che i funzionari del governo etiope “finiscano sotto processo e siano condannati”. Teme che per ottenere nuovamente i finanziamenti stranieri, il governo lanci “un processo di giustizia transizionale di facciata, di cui può controllare i risultati”.

Altri sono più ottimisti. “Di bello l’Etiopia ha la sua capacità di agire”, ha dichiarato un funzionario dell’Unione africana. “Stanno facendo le cose da soli e dovremmo concedergli un po’ di respiro”.

Anche Daniel Bekele, presidente della commissione etiope per i diritti umani, è fiducioso: il governo ha accettato le conclusioni del rapporto pubblicato dal suo ente insieme alle Nazioni Unite. “È importante sottolineare i passi concreti che sono stati compiuti”, aggiunge. “La giustizia di transizione dev’essere guidata e controllata dall’Etiopia”, dice.

La creazione di un meccanismo di giustizia transizionale potrebbe avvenire a settembre, quando si celebrerà il capodanno etiope. L’organismo, però, non avrà mandato di indagare e incriminare i soldati eritrei. Il presidente Isaias Afewerki considera le accuse contro le sue truppe “delle fantasie”. Secondo un diplomatico occidentale, i crimini commessi dagli eritrei sono una “questione spinosa” su cui dovrà decidere l’Etiopia. Il governo sta facendo pressioni perché le indagini nazionali siano monitorate dagli esperti dell’Onu, una possibilità su cui sono state registrate aperture ad Addis Abeba.

“Non sarà perfetto”, dicono i diplomatici occidentali in Etiopia, “perché non esiste un processo di giustizia transizionale perfetto”. ◆ gim

Quest’articolo è stato scritto da un giornalista etiope che ha preferito rimanere anonimo. È uscito su The New Humanitarian, un giornale online dedicato alle crisi umanitarie del mondo. The New Humanitarian non è responsabile della traduzione.

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Questo articolo è uscito sul numero 1506 di Internazionale, a pagina 18. Compra questo numero | Abbonati