Fermatevi in un punto a caso del quarto disco di James Holden e penserete che questa musica punti sempre a una catarsi, con una grande melodia, ritmi che si fondono in un unico corpo danzante e la folla che si abbandona completamente. Nei suoi precedenti lavori c’erano tanti momenti così perché Holden era un giovane dj concentrato su inni trance e techno. Di recente ha raccontato che l’idea dietro questo album era di ricreare la sensazione, provata da adolescente, di ascoltare le prime trasmissioni pirata di musica dance britannica: la colonna sonora di una scena rave che quando il dj di Exeter aveva l’età per diventare un professionista si era già esaurita. Più che il ricordo nostalgico di un paradiso perduto, Imagine parla della gioia e della libertà che secondo lui provava chi partecipava a quei rave. Ogni singolo suono è chiaro , distinto e accogliente e in generale Holden si riavvicina al mondo del club, da cui si era allontanato per interessarsi al free jazz e a ritmi più liberi. Tuttavia anche qui resta questa sensibilità verso un mondo più organico: ogni ritmo si sviluppa a una velocità individuale, per riflettere la frammentarietà delle linee temporali in natura. Possiamo riassumere le relazioni all’interno di questo disco pensando alle cascate e ai tramonti: è la traiettoria ad assorbirci, non dei punti specifici. La mancanza di soluzioni può fare storcere il naso a qualcuno ma quando ci sono, raramente, commuovono. Per godere di tutto ciò serve dell’immaginazione. Solo così potrete scoprire un mondo magico, come faceva James Holden alla radio, nella sua cameretta.
Andy Crush, Pitchfork
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Questo articolo è uscito sul numero 1507 di Internazionale, a pagina 84. Compra questo numero | Abbonati