Due temi hanno dominato la visita in Cina, dal 5 al 7 aprile, del presidente francese Emmanuel Macron, accompagnato per parte del viaggio dalla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen: la guerra in Ucraina e le relazioni tra l’Europa e Pechino. Su nessuno dei due c’è stata una svolta. Ma questo non significa che la visita sia stata un fallimento né che sia stata inutile.
Per quanto riguarda l’Ucraina, l’Eliseo non si aspettava una svolta importante e non l’ha ottenuta. Dopo la visita del presidente Xi Jinping a Mosca a marzo, che ha consolidato un’amicizia tra Russia e Cina in cui Pechino è il partner dominante, Parigi sapeva che la Cina non avrebbe condannato l’invasione russa. Anche l’illusione di una mediazione cinese era stata abbandonata. Era tuttavia importante sottolineare i rischi che un’eventuale decisione di fornire armi alla Russia avrebbe comportato, perché avrebbe spinto la Cina nel campo dei belligeranti.
Era anche necessario ricordare a Xi Jinping, a parole favorevole alla pace, che il presidente ucraino Volodymyr Zelenskij è ancora in attesa di una sua chiamata. Questo è stato fatto. Il leader cinese è stato anche messo di fronte alle sue contraddizioni, visto che si è rifiutato di condannare il possibile dispiegamento di armi nucleari in Bielorussia nonostante si sia dichiarato contrario alla minaccia e all’uso di queste armi.
La parte delle istituzioni europee è stata più complessa. Proponendo a von der Leyen di accompagnarlo a Pechino, Macron ha voluto dare una dimensione europea alla sua visita, dopo che il cancelliere tedesco Olaf Scholz aveva rifiutato la sua proposta di andare insieme in Cina a novembre. È stata una buona idea. A parte il fatto che è più comodo rappresentare 450 milioni di persone invece che 68 milioni di fronte ai dirigenti cinesi, le relazioni commerciali sono una questione di competenza dell’Unione europea. Ma farlo ha significato ignorare le trappole del protocollo di Pechino, che ha riservato al presidente francese tutto lo sfarzo di una visita di stato. Sfarzo che la presidente della Commissione non ha potuto condividere, poiché l’Unione non è uno stato. Come la Russia, la Cina preferisce trattare con i singoli paesi piuttosto che con un’ingombrante entità sovranazionale; nemmeno il discorso molto deciso sulla strategia di potenza cinese che Ursula von der Leyen ha pronunciato il 30 marzo è riuscito ad ammorbidire Xi Jinping.
Ma è poi possibile ammorbidire Xi Jinping? Dal ventesimo congresso del Partito comunista cinese, il presidente ha più potere che mai, e non fa mistero della sua ambizione di rimodellare l’ordine internazionale. Se Emmanuel Macron, ancora fiducioso nella sua capacità di seduzione nonostante i passati fallimenti con Donald Trump e Vladimir Putin, pensava di poter affascinare il leader cinese, avrà senz’altro scoperto che per riuscirci non basta certo una cerimonia del tè senza cravatta in un giardino di Canton.
La posta in gioco di questo viaggio, infatti, andava ben oltre le relazioni personali tra i due leader. Come hanno dimostrato i suoi recenti successi diplomatici con l’Iran e l’Arabia Saudita, la Cina ha un ruolo di primo piano in uno scenario globale in rapida evoluzione.
Anche l’Unione europea, senza rinnegare la sua alleanza con gli Stati Uniti, vuole affermarsi in questo contesto e sta cominciando a dotarsi dei mezzi per farlo. Nonostante il disagio e la mancanza di risultati concreti, Macron e von der Leyen hanno fatto bene a rilanciare insieme un dialogo indispensabile con la Cina. Questo rapporto dev’essere mantenuto, a patto di rimanere lucidi ed esigenti. ◆ ff
Le Monde fondato nel 1944, è uno dei più importanti quotidiani francesi, su posizioni europeiste e di centrosinistra.
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Questo articolo è uscito sul numero 1507 di Internazionale, a pagina 32. Compra questo numero | Abbonati