Il libro è un poema della sconfitta, un thriller psicologico su una famiglia terribilmente disfunzionale. Un tema eterno, ma trattato in un modo che non ha precedenti nella letteratura romena di oggi. L’adolescente Aleksy è invitato dalla madre a trascorrere un’estate insieme in Francia. Aleksy aveva una sorella minore, Mika, gentile e pura, “il nostro caro ragno che ci aveva intrappolati tutti nella sua tela incantata”, la sorella che era “l’unica ragione per cui per qualche anno ci siamo sentiti una famiglia”. Ma Mika è morta e la narrazione non offre nessun commento, se non che “sarebbe stato meglio se mio padre fosse morto al suo posto”. Il padre di Aleksy è un personaggio di rara volgarità. L’estate in cui mia madre ebbe gli occhi verdi è il racconto della vacanza del figlio con la madre che sta vivendo i suoi ultimi mesi di vita, in preda a un cancro aggressivo. Imparano a parlarsi, a lenire le crisi dell’altro, a mangiare e bere insieme, a funzionare nel modo più normale possibile. Questo figlio solitario nascerà con lei una seconda volta mentre le loro identità si riconfigurano. La narrazione è volutamente sospesa nell’ambiguità. Questo romanzo autobiografico è un tentativo di esorcizzare alcuni demoni personali.
Iulia Alexa, Revista Cultura

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Questo articolo è uscito sul numero 1511 di Internazionale, a pagina 92. Compra questo numero | Abbonati