La storia da dentro è un libro di memorie frammentario che ripercorre i rapporti di Martin Amis con tre scrittori morti: Saul Bellow, Philip Larkin e soprattutto Christopher Hitchens. Questi racconti letterari s’intrecciano con i ricordi di un’avventura giovanile con una donna più matura. Un terzo filo conduttore è composto dai consigli di questo maestro della prosa agli aspiranti scrittori. Può sembrare una struttura caotica per un libro, ma la realtà lo è ancora di più. Le note a piè di pagina potrebbero formare un volume a parte. Una proliferazione di sottotitoli spezza il vorticoso Tamigi di parole. Era dai tempi di La freccia del tempo del 1991 (Einaudi) che questo scettico del modernismo non giocava così tanto con la forma. Se qualcosa impedisce al libro di trasformarsi in una delle sue (sottovalutate) raccolte di saggi, è la presenza di Hitchens. L’amicizia maschile può sfiorare la sfera romantica, se non quella sessuale. Oltre alla dolcezza del loro rapporto, il libro rivela un po’ di quello che l’autore chiama il suo “aceto”. È abbastanza evidente che Hitchens invidiava ad Amis il suo successo, anche se più con meraviglia che con amarezza. È altrettanto evidente che Amis voleva avere un po’ del peso saggistico del suo amico. Il risultato è stato una prolifica ma disomogenea vena di scrittura politica. Di tutte le sue intuizioni, una non gli viene mai in mente: i romanzieri, sempre attenti all’individuo, sono confusi quando devono descrivere intere società. È quando torna al personale che fluiscono l’umorismo e l’illuminazione, che secondo la dottrina Amis sono la stessa cosa. Fumando da solo in giardino dopo la diagnosi di Hitchens, si rende conto di cosa gli evoca la sua impotenza: l’imminente paternità. Collegare le estremità della vita in un’unica scena attraverso una sigaretta ansiosa è uno dei piccoli colpi di scena del libro. La storia da dentro ha diversi momenti come questo sparsi per le sue settecento pagine. Se Amis nel suo periodo di massimo splendore era feroce, il suo stile recente è ironico e amichevole. In questo libro si respira uno spirito di tranquillità domestica. Il narratore accoglie il lettore come un ospite. È un uomo che si congeda dignitosamente: dagli amici scomparsi, dagli amori di un tempo e, infine, da un talento quasi spaventoso.
Janan Ganesh, Financial Times
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Questo articolo è uscito sul numero 1514 di Internazionale, a pagina 88. Compra questo numero | Abbonati